Paolo Del Debbio: «Nel mio talk do voce alla gente e ora sbarco sui social»
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Politica

Paolo Del Debbio: «Nel mio talk do voce alla gente e ora sbarco sui social»

Intervista al conduttore di Dritto e Rovescio, il talk di Rete4. «Io populista? Al massimo sono popolano», replica a chi lo critica. Poi rivela di essere stato corteggiato dal Rai e di aver cambiato idea su Instagram: «Ero prevenuto ma è uno strumento utile»

A Paolo Del Debbio non piacciono le etichette e nemmeno le banalizzazioni. All'ipotesi della crisi dei talk politici replica con i fatti: il suo Dritto e Rovescio regge nonostante l'affollamento del giovedì sera e su ventisette puntate della stagione in corso stagione è stato leader dell'approfondimento ventiquattro volte. «Ma non ho l'ansia degli ascolti», precisa alla vigilia della puntata di giovedì 8 aprile, quando ospiterà il ministro degli Esteri Luigi di Maio e il professor Massimo Galli, con cui farà il punto sulle vaccinazioni. «Nel mio programma diamo spazio a tutti, non tiro la volata a nessuno», osserva. Dal rifiuto delle etichette («sono un popolano cresciuto in un quartiere periferico di Lucca, altro che populista») al no alla politica, dallo sbarco sui social alla metamorfosi fisica, ecco cos'ha raccontato a Panorama.it.

Serie, calcio e reality: il giovedì sera è sempre più affollato. Lei è di quelli che aspetta con ansia le 9:58 per la lettura dei dati?

«Dormo sonni sereni. C'è la telefonata del mattino con Siria Magri – la condirettrice di Videonews che cura tra gli altri programmi anche Dritto e rovescio, ndr - che mi dice i dati e li analizziamo. Ma non vivo l'Auditel con ansia. Certo, si fa tv per essere guardati e più cresciamo, meglio è».

Come si cresce vista la concorrenza sempre maggiore?

«Pensando di costruire delle solide zavorre per la mongolfiera: non m'interessa alzarmi in volo distante dalla realtà ma restare a bassa quota con temi che interessano chi ci guarda. Mi piace il pragmatismo».

E pensare che lei è un filosofo.

«Ma in tv sono un conduttore. Rispondo alle domande della gente».

Quando si è appassionato alla filosofia?

«Intorno ai 16 anni. Studiavo in seminario e un sacerdote mi fece scoprire un mondo per me nuovo. Da quel momento non ho mai smesso di studiare e mi sono appassionato a San Tommaso d'Aquino e a Sartre».

Lei è anche docente di etica ed economia alla Iulm di Milano. Com'è l'insegnamento all'epoca della dad?

«Un calvario. La didattica a distanza è come vivere una storia d'amore senza potersi vedere. Per me è inconcepibile».

Cosa le dicono gli studenti del suo lavoro in tv?

«Per loro sono un docente come gli altri, non un conduttore».

Si dice che l'«effetto Draghi», con la Meloni unica voce all'opposizione, rischi di anestetizzare i talk politici. È un timore concreto?

«Ma nel mio programma l'ingrediente principale sono le storie delle gente e quelle non cambiano che ci sia Prodi, Conte o Draghi: le persone in difficoltà e i problemi da risolvere ci sono sempre, i bisogni delle varie categorie restano gli stessi».

Le hanno dato del berlusconiano, poi del grillino, del renziano e del salviniano.

«Non me ne frega nulla. Basta guardare i dati dell'Osservatorio di Pavia per capire che diamo spazio a tutti. Da me sono venuti tutti, escluso Zingaretti ma per sua scelta. La mia è la tv di un conduttore che entra in studio e pensa da astenuto. Questo non vuole dire che alle urne mi astenga».

Però ha detto: «Non credo in nessun progetto politico».

«E lo ribadisco. Non vedo una riflessione che fonda, che dia vita. Sono cose messe assieme spesso alla rinfusa, senza una cornice precisa».

Lei è stato tra gli ideologi e i fondatori di Forza Italia. Che impressione le fa oggi il partito?

«Ho dato un contributo ma parliamo di un'era fa. Da analista per me oggi è esattamente un partito come gli altri. Non so dove vogliano andare ma è chiaro che a portare a casa i voti è il Cavaliere».

Il direttore di Rete4, Sebastiano Lombardi, disse di lei a Panorama: «Il pubblico ama del Del Debbio perché sa indossare le vesti del popolo».

«Non indosso le vesti del popolo ma semplicemente vengo dal popolo, sono di quella risma lì essendo cresciuto in un quartiere popolare di Lucca. Poi le mie radici le ho impastate con lo studio, i libri, l'università».

Si offende se le danno del populista?

«Non me ne frega niente. Ritengo legittimo far parlare la gente che urla e si arrabbia perché soffre o perché non ha altri strumenti per far sentire i propri bisogni».

Anche lei qualche volta urla. La scena in cui striglia la regia perché non inquadrava il libro di un suo ospite è diventata virale sui social.

«Mi capita di perdere l'autocontrollo, sono toscano e sono fumino. M'incazzo quando le cose non funzionano in diretta. Ma poi mi scuso sempre con i miei collaboratori, che per altro formano una squadra straordinaria».

Costanzo la definì «un Funari che ha letto molti libri», Aldo Grasso «il Santoro di destra». In quale delle due definizioni si riconosce?

«Vanno bene entrambe, sono onorato. Ovviamente, come tutti, punto ad avere uno stile mio».

L'abbuffata di talk e informazione che effetto le fa?

«La tv è come una piazza in cui ci sono tanti negozi che offrono prodotti diversi: il pubblico entra nel negozio che gli pare. La concorrenza è forte e tocca ai conduttori, che sono come dei negozianti, essere bravi e convincere la gente a farsi guardare».

Lei cosa offre di diverso?

«Diciamo che chi entra nel mio negozio si sente vicino a me o forse rappresentato».

La Rai l'ha mai corteggiata?

«Anni fa. Mi contattarono diverse reti e ammetto che fa piacere essere richiesti».



Come mai Rocco Casalino, che ha fatto il giro di tutto il palinsesto per presentare il suo libro, da lei non è venuto?

«Probabilmente non mi ha ritenuto all'altezza della sua elaborazione culturale e ideologica. Ma sinceramente m'interessa molto poco».

Lei non c'era nelle famose chat di Casalino?

«Io non chatto con nessuno. Al massimo mi scrivo con i miei amici di Lucca».

Dei nuovi diktat di Grillo per i 5S che partecipano ai talk – no interruzioni e inquadrature senza stacchi – che ne pensa?

«Sono le farneticazioni dell'elevato. Freud avrebbe molto da dire sul fatto che si faccia chiamare così. Detto questo, non lo considero politicamente figuriamoci televisivamente».

A Grillo ha urlato «Quando vuoi attaccare qualcuno, se non hai sotto due noccioline ma due coglioni, attacca quelli tipo me che sono più forti. Non mi fai nulla».

«Dissi quelle cose dopo che aveva spinto un giornalista di Dritto e Rovescio, Francesco Selvo, mentre cercava di intervistarlo. Il risultato fu un trauma distorsivo. Se spingi un mio giornalista o se mi dai del fascista – proprio a me che ho avuto un padre internato a Buchenwald e so qual è la parte sbagliata della storia – m'incazzo. Punto».

Quanto c'era di vero dietro la sua candidatura a sindaco di Milano col centrodestra?

«Zero. Era una fake news. Per me fare politica sarebbe come bere il caffè con sale. Lascio che gli altri parlino, io continuo a fare il mio lavoro».

Intanto è sbarcato sui social ed è stato punzecchiato visto che nel 2019 scrisse che erano pieni d'imbecilli.

«Lo dissi citando Umberto Eco e confermo che purtroppo è un mondo dove ci sono molti violenti e frustrati, ma c'è anche del buono. La democrazia assoluta dà diritto di parola allo scemo così come al genio».

Intanto in due mesi la sua pagina Instagram, Dice Del Debbio, ha già superato i 44 mila follower.

«Al netto dei numeri, mi piace il riscontro e le risposte che sto avendo. Ero prevenuto ma poi lo stimolo di una persona in particolare mi ha fatto riflettere sul fatto che potessi avere un altro strumento per rilanciare le mie opinioni».



Cosa le scrivono i suoi seguaci?

«Mi chiedono di occuparmi di alcune situazioni specifiche e più spesso mi ringraziano perché magari con la mia capacità di divulgazione faccio capire qualcosa di poco chiaro. Affronto temi legati alla vita quotidiana ma anche quando alzo il livello, come la domenica quando parlo su Facebook delle figure religiose, c'è grande seguito. Presto farò dei video più lunghi per parlare di filosofia».

Della sua clamorosa metamorfosi fisica non le domandano nulla?

«Si chiedono se sono innamorato o malato. Diciamo che aver perso trenta chili ha reso la trasformazione più evidente. Ripeto che non l'ho fatto per una questione estetica ma solo perché non mi sentivo più bene fisicamente».

La soddisfazione ha compensato la fatica?

«Sì. È scattato quel click nel cervello che mi ha fatto cambiare totalmente il rapporto con il cibo: ha smesso di essere un rifugio compensatorio».

Sia sincero: qualche sgarro se lo concede?

«Sgarro poco ma da buon toscano mi tolgo lo sfizio con una fiorentina e un bicchiere di Chianti».

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Francesco Canino