Home » Attualità » Sport » Fallimento Milan, cosa serve per tornare grande

Fallimento Milan, cosa serve per tornare grande

Fallimento Milan, cosa serve per tornare grande

La finale persa in Coppa Italia rende ancora più un fallimento la stagione del Milan. Proprietà, dirigenza, allenatore e giocatori: tutti sotto processo per non ripetere gli errori che hanno portato al flop

E adesso come si fa a ripartire mettendosi alle spalle una stagione fallimentare? La sconfitta nella finale di Coppa Italia contro il Bologna ha gettato il Milan nello sconforto chiudendo il cerchio di un’annata di obiettivi falliti: mai in corsa per lo scudetto, lontanissimo dalla zona Champions League in campionato ed eliminato a febbraio dal Feyenoord in un playoff abbordabile. L’unica parziale consolazione, il successo nella Supercoppa Italiana cui non è seguito il bis in Coppa Italia che avrebbe spalancato le porte dell’Europa, seppure minore, da settembre in poi. Un fallimento sotto tutti i punti di vista, con ricadute economiche che costringeranno il fondo RedBird e Gerry Cardinale ad affrontare un bivio: investire in perdita per rilanciare, oppure lacrime e sangue sul mercato prendendo la strada più lunga.

E adesso? La parola fallimento ormai è stata sdoganata dallo stesso amministratore delegato Giorgio Furlani: impossibile etichettare diversamente una stagione così distante da speranze e investimenti. Il popolo rossonero ha in testa con chiarezza a chi appartengano le responsabilità di umiliazioni e disillusioni in serie: colpa di Cardinale e della sua visione lontana dal mondo dello sport e vicina a quello della finanza. Così il Milan ha risanato i suoi bilanci, partendo dall’opera del fondo Elliott, e così ha realizzato due utili consecutivi. Il fallimento sportivo, però, impatterà pesantemente anche sui conti della società perché verranno meno i ricchi ricavi della Champions League (non meno di 60-70 milioni di euro botteghino incluso) costringendo a una revisione del progetto tecnico. Tutti sotto accusa. Ecco una guida a cosa dovra succedere nei prossimi mesi nel Milan per garantire un ritorno alla piena competitività.

Crisi Milan, il futuro della proprietà: Cardinale deve investire sul mercato

Quando nell’annata post scudetto il Napoli è precipitato a metà classifica, Aurelio De Laurentiis non ha esitato a cambiare le sue abitudini mettendo la squadra in mano al tecnico migliore disponibile su piazza (Antonio Conte) e consegnandogli un mercato da 150 milioni di euro pur non essendo riuscito, nel corso della sessione estiva, a piazzare alcuna cessione. Un ravvedimento operoso che ha pagato in termini sportivi ed economici, visto che i partenopei torneranno a godere dei premi Uefa per la Champions League già nel 2025.

Cardinale deve immaginare di intervenire allo stesso modo. Si chiama rischio di impresa e prevede che per correggere un errore strutturale e dare il via a un progetto o ciclo si investa, anche senza certezza di un ritorno immediato. E’ una questione filosofica profonda da cui parte tutto. Fin qui RedBird ha sempre destinato al rafforzamento della squadra i proventi del campo, dando paletti rigidi per il contenimento dei costi strutturali. I risultati hanno restituito un esito chiaro: bisogna derogare alla consuetudine per affrontare questa emergenza.

Milan dopo il fallimento: ripensare l’organizzazione della dirigenza nella società

Dal giugno 2023 il Milan ha scelto di non affidarsi a un direttore dell’area tecnica tradizionale. Senza tornare sul licenziamento in tronco di Paolo Maldini e Frederick Massara, ferita che non si rimargina agli occhi dei tifosi, l’organizzazione collegiale con riferimento diretto a Furlani e competenza suddivise in più figure non ha funzionato. Non lo sostengono solo i critici a oltranza, ma è certificato dai risultati. Quel modello (con quelle persone) non va bene e va cambiato.

Apparentemente il Milan ha compreso questo, aprendo nel cuore dell’inverno un processo di ricerca di un direttore sportivo, ma la confusione nel profilo dei professionisti avvicinati, il ritardo nel decidere e la sensazione che si potrebbe anche restare così fanno intendere che non si sia compreso a fondo il problema. E non consolano le parole di Furlani quando assicura che il club già si sta muovendo per il mercato estivo; cosa dovrebbe fare allora un ds ingaggiato ora? E quali competenze in più ci sono rispetto a quelle che un anno fa hanno partorito scelte rivelatisi profondamente sbagliate?

Milan, cosa fare per uscire dalla crisi: serve un tecnico esperto, italiano e vincente

Prima Paulo Fonseca, rinnegato poche ore prima di Capodanno così da far scattare la clausola di salvaguardia sul contratto. Poi Sergio Conceiçao chiamato con un accordo debolissimo, quasi da traghettatore part time. Un anno fa c’era sul mercato Conte ma non andava bene perché sarebbe stato troppo ingombrante per il metodo di lavoro del Milan, oggi ci sono altre figure (Massimiliano Allegri o Maurizio Sarri per citarne due) che potrebbero essere simili ma non vengono chiamate.

Ecco l’identikit del tecnico che serve al Milan per ripartire: esperto perché non è più tempo di scommesse, italiano per evitare di cadere ancora nel problema della scarsa conoscenza del nostro calcio, autorevole e autoritario per essere interfaccia attiva della società nelle scelte sportive. E, dunque, anche pagato tanto perché il pallone è un mondo particolare dove il peso di ciascuno si misura dentro e fuori la società anche attraverso la sua busta paga. Può non piacere, ma è così.

Milan, mercato senza cedere i migliori aggiungendo tre pedine che servono

La prima certezza è che la rosa del Milan non vale l’ottavo posto in classifica, ma molto di più. Esattamente come quella del Napoli post scudetto aveva qualità superiori a dove era finita nel valzer degli allenatori bruciati da De Laurentiis. Ci sono nodi importanti da sciogliere come il prolungamento del contratto di Maignan e Theo Hernandez: se si vuole rinunciare a uno dei due, bisogna avere le idee chiare e in generale è più semplice sostituire un portiere che uno dei migliori esterni difensivi (quando ha voglia).

Ci sono calciatori che hanno mercato a livello internazionale, ma immaginare di ripartire avendo monetizzato Reijnders per sistemare il bilancio significa non comprendere cosa serve. A gennaio è stato fatto l’investimento sulla prima punta (Gimenez) e vale la pena ripartire da lui per poi aggiungere. Quanto? Se confermata l’estromissione da qualsiasi competizione europea, basta una rosa ridotta e di qualità. Aggiungere un regista, un difensore e un esterno basso destro potrebbe essere sufficiente a patto di sceglierli con competenza e affidarli a mani sapienti.

Leggi anche:

© Riproduzione Riservata