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La Napoli di San Gennaro raccontata da Crescenzio Sepe

La Napoli di San Gennaro raccontata da Crescenzio Sepe

L’arcivescovo spiega il ruolo della Chiesa nella città che ha appena ospitato Papa Francesco

UPDATE: L’intervista è stata realizzata prima della visita di Papa Francesco a Napoli (il 22 marzo). È stata poi aggiornata in data 23 marzo.

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Ci sono potenzialità e risorse. Ci sono intelligenze e ricchezza culturale. Genialità e capacità progettuali e imprenditoriali. Ci sono punti di eccellenza e sono tanti. Ci sono energie fresche e giovanili»: Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, è uomo di fede ma anche uomo di governo, e quando parla della “sua” Napoli (è nato a Carinaro, in provincia di Caserta, 72 anni fa), si vedono passione e grinta: “C’è tanta voglia di fare e di mettersi in discussione e in rete. L’ho sperimentato concretamente quando ho indetto uno straordinario Giubileo per Napoli. Ancora oggi si avvertono le ricadute e si aggiungono nuove proposte e nuove iniziative”.

Eminenza, le attribuiscono un auspicio: “Napoli non dev’essere una storia finita male”. A noi di Panorama quest’auspicio piace, siamo qui per affermarlo con forza. Ma ce lo illustri meglio…
C’è bisogno che qualcuno aiuti i napoletani a crederci, ad avere fiducia, a sperare, a guardare oltre. E questo può venire dai governanti, ma si è anche convinti che Papa Francesco con la sua presenza, con il suo calore, con la forza delle sue parole e del suo alto Magistero darà la spinta necessaria a tutti.

Papa Francesco sta per arrivare. Probabilmente ripeterà l’appello di Karol Wojtyla: “Riorganizzare la speranza”. Come?
Si deve incominciare dalla propria coscienza e dal rimettere al centro la persona umana, con la sua dignità e con i suoi diritti. Se c’è rispetto per l’uomo, se si avverte la grande responsabilità del proprio ruolo, se si privilegia il bene comune, se si svolge la propria funzione, a qualunque livello e titolo, preoccupandosi di fare il proprio dovere, anche come cittadini e come Chiesa, ebbene, la speranza si potrà certamente riorganizzare e non a parole ma concretamente. Non a caso Papa Francesco ha voluto entrare nel cuore della nostra amata e meravigliosa Città proprio partendo da Scampia, che non è affatto degrado e periferia sociale ma è la porta alla città. Proprio come fece nel 1990 Papa Giovanni Paolo II.

Disoccupazione, malavita, degrado: che cosa può fare la Chiesa contro queste piaghe di Napoli?
Napoli non è una carta straccia. Napoli non è quelle tre piaghe. Se vuole, è anche quello ma non solo, perché ci sono le risorse che abbiamo elencato prima e c’è la quasi totalità della popolazione che è fatta da persone per bene, serie e impegnate in vari settori della società. Ma si sa, il peggio fa più notizia. La Chiesa, senza alcuna presunzione, fa la sua parte. È presente e attiva sul territorio ed entra in tutti gli ambienti sociali. La Chiesa di Napoli non aspetta, ma va, esce dalle sagrestie, si sporca le mani nel lavoro quotidiano, sta tra e con la gente. Ascolta, condivide, entra nelle famiglie, incontra i giovani, aiuta i più deboli, porta la parola di Cristo. E lo fa con tutti, senza distinzione e senza alcuna preoccupazione di ordine confessionale. Sul piano concreto abbiamo cercato di organizzare cooperative, incentivato iniziative imprenditoriali, promosso formazione, combattuto la buona battaglia contro la camorra e la delinquenza comune, cercando il pentimento e il recupero, anche attraverso la creazione della Casa del carcerato, abbiamo accolto e assistito i poveri e gli immigrati, aperto diverse mense. Ma sappiamo che non basta e che dobbiamo fare ancora di più. Per questo vogliamo fare sinergia, creare reti della solidarietà.

Quale preghiera chiederà al Papa per la sua Napoli? Papa Francesco sa come e per chi pregare. Ma vogliamo chiedergli di pregare perché non vengano mai meno in tutti, ma soprattutto nei giovani, la speranza e la voglia di fare, di cambiamento e di riscatto.

E quale preghiera o quale ammonizione, rivolgerebbe lei ai politici?
Nessuna ammonizione, ma l’invito alla corresponsabilità per costruire il bene comune e con esso il futuro per le giovani generazioni.

Sabato 25 aprile si attende, come ogni anno, il miracolo del sangue di San Gennaro. Cos’è per lei e per i napoletani?
Per i napoletani è un atto di fede. Non c’è forma di fanatismo. San Gennaro è un parente stretto con il quale c’è un patto, un legame di sangue, simboleggiato dalla sacra reliquia con il suo sangue che prodigiosamente si liquefa: un evento che non avviene a comando, perché nei secoli San Gennaro ha dimostrato che non si fa comandare, ma non per questo fa venire meno il suo amore paterno e la sua protezione, proprio come chiedono i napoletani.

Arcivescovo, saluterà anche noi con quel suo detto, così napoletano: “’A Madonna t’accumpagna!”? Perché?
Napoli è sostanzialmente una città mariana. C’è una storia di popolo che ruota intorno a questo culto, un legame di vera familiarità che resiste, anzi diventa più robusto e avvertito, proprio dinanzi alle difficoltà del vivere, alle disgrazie, alla mancanza di lavoro, alle malattie. È proprio nelle sventure, quando ci si sente più fragili e più deboli, che ci si immerge nella fede, per trovare conforto, incoraggiamento e speranza.

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