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Mattia Guolo
Musica

Abbiamo fatto un giro nella testa di Nitro

Intervista con il rapper vicentino che presenta l'album "No comment", già candidato per un posto tra i migliori dischi rap del 2018

Nel sovraesposto mondo del rap italiano è importante premiare la capacità di fare la differenza. È l'esempio di Nitro, rapper nato a Vicenza che in pochi anni ha conquistato la fama e la stima di una scena più che mai varia e rinnovata. Il suo rap è un mix di ingredienti dalla chimica studiata, un prodotto alternativo nel panorama musicale italiano della rima.

Nitro, al secolo Nicola Albera, ha mescolato insieme elementi dell'hip hop, del rock, del soul, del cinema e della letteratura. Nel calderone di Machete, il collettivo di cui Salmo è frontman, che ha puntato su di lui sin dal 2013, è riuscito ad amalgamare un'identità che in Italia non ha cloni. Il risultato è stato "No comment", il nuovo album uscito lo scorso 12 gennaio per Sony Music e lanciato da "Infamity show", il video che trasforma in talk show anni '70 l'analisi in rima sul decadimento sociale.

Partiamo dal disco: come è andata questa prima parte di promozione?

"In questo periodo mi sono aperto come persona verso il pubblico ma allo stesso tempo mi sono chiuso in me stesso e sto già pensando al prossimo lavoro. Per me "No comment" è già un capitolo chiuso. È un disco che ho pensato un anno fa quindi sono già andato oltre, sto già pensando a cose nuove. Mi è piaciuto sentire il calore delle persone e ho apprezzato l'educazione che hanno dimostrato i miei ascoltatori: mi hanno fermato in tutta Italia e mi hanno detto cose bellissime e mai scontate. È figo vedere come attraverso la musica puoi scrivere in casa qualcosa che può cambiare la vita ad una persona o che comunque la aiuterà. Sono rimasto sorpreso dalla voglia che aveva la gente di sentire mie nuove canzoni..."

Qualcosa che ti è piaciuto di meno?

"Forse mi è dispiaciuto che non tutto il disco sia stato compreso da subito. Ci sono voluti un paio di ascolti, vedo gente che si sta ricredendo. Per quanto io ripeto sempre che faccio musica per me stesso, mi dispiace se qualcuno paga per qualcosa che lo delude. Sono stato anche io un fan, o come preferisco dire un ascoltatore, e so cosa vuol dire quando ritieni che il tuo idolo abbia fatto un disco non all'altezza... Poi diventi più grande, magari lo ascolti nuovamente, vedi il quadro da fuori e capisci. Ci sono album che da piccolo ho buttato via, ora invece li riascolto, mi piacciono e li capisco. Nella vita si cambia, ci si evolve..."

Il video di Infamity show è stato un successo: quanto materiale delle riprese è rimasto inutilizzato?

"Io adoro fare queste cose perché sul set si crea un'atmosfera impagabile. È stato figo perché ha dato un'altra versione del pezzo, che solo audio fa tutto un altro effetto. È stato forse il video in cui mi sono più divertito in tutta la mia vita. Per la prima volta i registi mi hanno detto che sarebbe dovuto durare 8 minuti per tutto il materiale che avevamo"

Chi si è dimostrato il più portato per la recitazione?

"Penso Salmo che ha avuto anche esperienze nel campo. Ma anche io sento mia questa cosa pur non avendo studiato. In ogni mio video mi piace interpretare un personaggio e mi piacerebbe anche recitare in qualche film se qualcuno mi chiamasse..."

Sons of Anarchy?

"O Vikings..."

Dal 2018 FIMI considererà ai fini delle certificazioni musicali solo gli abbonamenti premium degli streaming. Cosa ne pensi?

"Io penso che se un artista ha grossi numeri non pensa al fatto se siano a pagamento o meno. Per emergere non ci vuole per forza un disco d'oro. Poi, sia chiaro, quando arriva siamo tutti contenti ma al di là di questo cosa rimane? Sono numeri e mi sembra che l'attenzione si stia spostando troppo sui numeri. Da quando ogni canzone è legata ad un numero sembra di poter avere una statistica di cosa piace e cosa non piace, un dato che può anche influire sulle scelte. Quando compravo i cd non sapevo quanto avessero venduto... Non sto dicendo che è meglio o peggio, sono solo tempi diversi".

Esiste una febbre da sold out: è più nel pubblico o negli addetti al settore?

"Esiste, ma il problema è molto più ampio. Adesso ogni piccolo merito viene ostentato all'eccesso perché tutti abbiamo una vita pubblica su una bacheca virtuale. Se una volta hai fatto due foto scrivi "fotografo", se hai suonato due volte scrivi "deejay". Tutti vogliono mettere paura con i titoli ma la sostanza non sempre rispecchia la realtà. Questa cosa si manifesta anche negli artisti che devono proiettare un'immagine da sold out. Ci sono anche esempi illustri e molto simili per spiegare questo ragionamento, per esempio Rick Ross nel suo video Hustlin': non aveva un soldo bucato, ha affittato tutto e si è mostrato super ricco. Quel video gli ha portato molti soldi e questo è il teorema del vincente: la gente è attratta in maniera morbosa da vincenti che molto spesso lo sono solo di facciata"

Quindi il sold out fa vendere?

"Per assurdo si, ma quindi a chi diamo la colpa: alla gente o all'artista? È un discorso molto più delicato di quanto sembra..."

Come sarà la versione live di "No comment"?

"Quando scrivo i testi delle mie canzoni penso sempre all'impatto che avranno dal vivo. In questo tour vorrei un apporto musicale al tutto, nei miei live punto ad avere un repertorio vasto per suonare brani diversi. Canterò canzoni di tutti i dischi e vorrei anche rivisitare alcuni brani di Suicidol, ad esempio Oracolo Di Selfie. Ogni volta penso ad uno spettacolo diverso ma omnicomprensivo, una sorta di greatest hits di me stesso".

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Matteo Politanò