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VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images
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Valentino Parlato, anima eretica del comunismo al Manifesto

Morto a 86 anni è stato politico, storico e giornalista. Deluso dalla sinistra, alle amministrative di Roma aveva votato per Virginia Raggi

Insieme a Luigi Pintor e Rossana Rossanda aveva dato vita al quotidiano comunista Il Manifesto e per tutta la vita si era occupato della sinistra, di Marx, del comunismo. Spesso andando controcorrente. Se si potesse raccontarlo in un titolo si potrebbe scrivere: Valentino Parlato, comunista eretico, giornalista militante, tra i primi a pensare all'online come a una risorsa.

Nato a Tripoli in Libia il 7 febbraio 1931 da famiglia siciliana, dopo gli studi a Roma nel '51 dove conosce Luciana Castellina, si iscrive al Partito Comunista. Dopo un inizio da funzionario del partito ad Agrigento, a metà anni '50 comincia a collaborare con l'Unità per poi passare a Rinascita, il mensile allora diretto da Giancarlo Pajetta.

Al Congresso del '69 il dissenso, lo strappo, il divorzio con il Partito con cui non condivideva più la strategia generale a causa di un mancato attacco frontale al governo. Qualche mese dopo, insieme ad altri dissenzienti fonda Il Manifesto.

Il primo numero esce il 23 giugno 1969 e porta le firme di Parlato, Luigi Pintor, Aldo Natoli, Luciana Castellina e Ninetta Zandegiacomi.

I direttori erano Lucio Magri e Rossana Rossanda. Un Olimpo di intellettuali con l'aspirazione di incidere sulla sinistra da sinistra, un collettivo pronto ad incendiarsi, a discutere animatamente ogni fatto di politica e di cronaca, ogni riga di pezzo, divisi tra elaborazione politica e giornale.

Le foto delle riunioni del Manifesto, con Valentino Parlato sempre in primo piano, sigaretta tra le dita, restituiscono questo sogno quasi romantico di giornalismo militante. La vita di Parlato coincide con quella del suo giornale, diretto a più riprese o co-diretto secondo l'usanza, fino al 2010.

Titoli di una memorabile efficacia, pagine strette sotto il braccio a cortei e comizi, analisi e giudizi critici, controcorrente, coraggiosi, una spina nel fianco della sinistra al Governo o no. Storie ricordate dallo stesso giornalista in due libri, La Rivoluzione non russa (Manni editore) e Se trentacinque anni vi sembrano pochi (Rizzoli), mentre la sua vita e' stata filmata dal figlio Matteo insieme a Marina Catucci e Roberto Salinas nel documentario 'Vita e avventure del Signor di Bric a' Brac'.

Fumatore accanito, dedicò a quella passione anche il libro Segnali di fumo. Locali per fumatori, Roma-Milano (edito dal Manifesto).

Le crisi economiche del giornale negli ultimi anni, giornalisti in cassa integrazione, lo mettono a dura prova nonostante fosse Parlato tra i fondatori con più senso pratico. Il lavoro di questo gruppo d'intellettuali comunisti fino al midollo diventa quasi un lavoro volontario sostenuto grazie alla mobilitazione dei suoi elettori. Un'istituzione del giornalismo italiano indipendente più moderna di quello che forse si pensa visto che Il Manifesto è stato il primo quotidiano italiano a dotarsi di un sito internet nel 1995.

Poi nel 2012 la messa in liquidazione della cooperativa e la direzione passa sotto a Norma Rangieri. Il suo legame però con Il Manifesto continua come la produzione dei suoi pezzi che a scrivere regolarmente, una volta al mese, spesso costretto a parlare di compagni di una vita che se ne vanno, come Alfredo Reichlin, Renzo Testi, Nino Caruso.

Deluso dalla sinistra di oggi, in una delle sue ultime interviste a Repubblica aveva confessato di aver votato il sindaco Raggi alle amministrative di Roma.

"Ciao Vale" titolano i compagni del collettivo del Manifesto. E dal neosegretario del Pd Matteo Renzi agli amici della Sinistra Italiana, al premier Gentiloni che ne sottolinea la coerenza, sono in tanti commossi a salutarlo.

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Chiara Degl'Innocenti