Turchia, Erdogan ha paura e se la prende con Twitter
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Turchia, Erdogan ha paura e se la prende con Twitter

Il premier turco ha minacciato di bloccare il social network perché genera "immoralità e spionaggio", ma anche il presidente Abdullah Gül gli ha twittato contro - Le reazioni su Twitter

Il Sultano in campagna elettorale tira sempre fuori un asso dalla manica. Anche questa volta il premier turco Recep Tayyip Erdogan non ha deluso le aspettative dei suoi sostenitori e, durante un comizio elettorale nella città di Bursa, ha minacciato la chiusura di Twitter, definendolo "un social network che mina la stabilità della Repubblica".

Immediate le reazioni in tutto il mondo. Solo in Turchia ci sono più di 10 milioni di account su Twitter, che rappresenta un importante veicolo per l'informazione, soprattutto durante le manifestazioni e le proteste (sempre più frequenti) contro il governo guidato dal leader del partito islamico Akp. 

#TwitterisblockedinTurkey e #DictatorErdogan in pochi minuti sono diventati top hashtag sul social network e persino il presidente della Repubblica turca, Abdullah Gül, ha pubblicamente espresso il suo disappunto sulla restrizione ai social media e ai siti internet, e lo ha fatto proprio su Twitter , con uno squillante cinguettio.

"Non possiamo approvare il blocco delle piattaforme dei social media", ha twittato il capo dello Stato turco, che ha voluto sottolineare che in ogni caso non è possibile bloccare Twitter. Gül ha poi aggiunto che si augura che il governo faccia un passo indietro: "Come ho più volte detto in passato - ha dichiarato il presidente del Paese della Mezzaluna - al punto in cui sono arrivate le tecnologie oggi, è tecnicamente impossibile bloccare l'accesso ai social media utilizzati in tutto il mondo come Twitter". "Spero - ha aggiunto  Gül - che questo atteggiamento (del governo ndr) non duri ancora".

Due cose emergono chiaramente dalle ultime vicende turche: la frattura tra il presidente della Repubblica e il suo premier è sempre più profonda e ormai insanabile. E, in secondo luogo, Erdogan si sente sempre più debole e teme di fare fiasco alle prossime elezioni locali, che si terranno il 30 marzo, e - di conseguenza - ha paura di mancare il grande obiettivo della sua intera carriera politica: essere eletto presidente della Repubblica ad agosto di quest'anno.

Il rapporto tra Erdogan e internet è sempre stato burrascoso (se vogliamo usare un eufemismo). Il premier turco ha appoggiato pienamente una recente legge - votata dal Parlamento - che permette alla Commissione per le telecomunicazioni di "bloccare" i siti che propongono contenuti che "violano la privacy". Due settimane fa, sempre Erdogan aveva minacciato di chiudere sia Facebook che YouTube. Ma la censura è già esistente da un pezzo in Turchia, soprattutto su YouTube, a cui è difficile accedere.

"Alcuni circoli ben noti si sono immediatamente ribellati a questa legge su Internet", ha dichiarato il 6 marzo scorso il premier turco, aggiungendo che "Noi siamo determinati a far sì che il popolo turco non sia sacrificato su YouTube e Facebook". Erdogan ha poi detto che i social media "incitano ogni genere di immoralità e di spionaggio a beneficio dei colossi che gestiscono la rete".

In realtà, quello che ha paura di essere "sacrificato" è proprio lui, visto che nell'estate del 2013, quando i manifestanti scesero in piazza a Istanbul e in tante altre città turche contro la chiusura del parco di Gezi, furono proprio i social network a permettere al mondo di sapere cosa stava realmente succedendo a piazza Taksim, dove le cariche della polizia contro i manifestanti pacifici si susseguivano di ora in ora.

Internet è da sempre la grande paura di Erdogan, che in questo non è da meno alla sfilza dei dittatori di tutto il mondo. A febbraio scorso, il premier turco ha definito Twitter come una "lobby robot", che ha come obiettivo la caduta del suo governo. Per tutta risposta i gestori di Twitter fanno però sapere che è possibile continuare a postare dalla Turchia attraverso sms e collegamenti via cellulare. 

Le prossime elezioni locali in Turchia hanno per il premier il sapore (amaro) di un referendum sul suo operato. Gli scandali sulla corruzione che lo hanno travolto dall'inizio dell'anno hanno fortemente polarizzato l'elettorato turco, spaccando anche il fronte unito dell'Akp, il partito islamico fondato da Erdogan. Il giro milionario di mazzette tra i fedelissimi del premier e all'interno della sua famiglia, ha gettato fango sull'immagine politica e privata di Erdogan, che ne è uscito con le ossa rotte e che adesso spera di riconquistare terreno parlando alla pancia del suo elettorato, a quei milioni di votanti che non sono su Twitter e che appartengono alle fasce più semplici della società.

Quelli che indossano il velo e che rispettano il Ramadan, per intenderci. Ma la domanda è: ce la farà il Sultano a riconquistare il suo popolo?. Lo sapremo a fine marzo. Per ora quello che è certo è che Erdogan teme di veder finire nel fango la sua carriera politica. E c'è già chi dice che ha pronto un piano B: volare a Dubai, dove ha una serie di proprietà e di ricchi investimenti, e restarci. Sogno (dell'opposizione) o realtà?.

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Anna Mazzone