Terremoto: "Non si deve morire per l'amianto"
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Terremoto: "Non si deve morire per l'amianto"

Il drammatico racconto di un soccorritore del terremoto del Friuli, oggi malato di mesotelioma pleurico

“Mi sono ammalato mentre soccorrevo le popolazioni colpite dal terremoto in Friuli nel 1976”. È il drammatico racconto di Mario, un ex militare di Tolentino che 11 mesi fa ha scoperto di essere affetto da mesotelioma pleurico, una malattia legata all’inalazione di fibre di amianto.

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Mario, che ha voluto mantenere l’anonimato per rispetto dei familiari, oggi ha 61 anni e vive nuovamente il dramma del terremoto: il suo paese è stato in buona parte devastato dall’ultima forte scossa di terremoto che, il 31 ottobre scorso, ha colpito l’Umbria e le Marche. “Ho scoperto la mia malattia perché a Natale 2015 sono stato ricoverato per un fortissimo broncopolmonite- spiega Mario a Panorama.it - e lì è iniziato il mio calvario. I medici hanno iniziato a sottopormi ad esami più approfonditi e la diagnosi è stata, purtroppo, la più atroce: mesotelioma, una delle patologie asbesto correlate”.

Ma lei ha svolto lavori a rischio?
No, io sono un insegnante. Nessun lavoro in fabbriche che usavano l’amianto dunque non ho svolto un lavoro cosiddetto a rischio.

E quindi dove si sarebbe ammalato?
Con i medici abbiamo necessariamente ripercorso la mia vita, tutte le tappe più importanti partendo dalla mia adolescenza, considerando che il periodo di “incubazione” dell’amianto è tra i 20 e 50 anni. Da questa ricerca a ritroso è emerso che l’unico periodo a rischio amianto è stato durante il servizio militare.

Si spieghi meglio
Ero nell’Esercito, nel 1976. La mia caserma era a Casale Monferrato, zona già ad alto rischio amianto. Ma con altissima probabilità la fibra di amianto che è la causa del mio stato attuale di malattia, è stata inalata durante il terremoto del Friuli, nel ’76.
Lei stava prestando servizio militare?
Sì, ero sempre a Casale e fui mandato come soccorritore in Friuli. Lì, assieme a molti altri colleghi ho scavato a mani nude e senza protezione sul viso. Abbiamo rimosso tetti in amianto, strutture in cemento amianto, tubazioni realizzate o coibentate in amianto. Sicuramente mi sono ammalato in quell’occasione. Purtroppo l’Esercito italiano nega che questo sia stato possibile.

Perché lei si è deciso a raccontare la sua storia?
Sto vivendo nuovamente il dramma del terremoto ma questa volta nella mia terra. Così oggi rivedo in questi giovanissimi soccorritori, la mia persona che quaranta anni fa con la stessa forza e la stessa determinazione, scavava tra le macerie senza nessuna protezione su naso e bocca. E ho paura per loro. Se da un lato non posso che ringraziarli, dall’altro vorrei poterli mettere in guardia. Si può e si deve soccorrere le popolazioni in difficoltà ma lo si deve fare in sicurezza. È questo il messaggio che io voglio lanciare a tutti: dal Governo alla Protezione civile, alle società di pubblica assistenza.

Poi Mario, conclude: “Questi giovani volontari che hanno rischiato la loro vita per salvarne altre, non possono ammalarsi, non possono tra 30 anni diventare loro stesse vittime di un terremoto dal quale non c’è davvero via di scampo: l’amianto”.

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Nadia Francalacci