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Lo smart working non è più un diritto. Si ritorna alle regole pre-pandemia?

I lavoratori dovranno contrattare il regime di lavoro agile con il proprio datore di lavoro sottoscrivendo un accordo individuale tra le parti. Niente più automatismi e proroghe, nemmeno per chi è considerato "categoria fragile" o ha figli under 14

Smart Working indietro tutta, si torna alle norme pre-Covid. Da aprile il lavoro agile non è più un “diritto acquisito”, ma si deve contrattare con il datore di lavoro. Basta all’automatismo e alle proroghe, anche per lavoratori fragili e genitori con figli under 14 anni. La pandemia ci ha abituato al lavoro da remoto e in molti erano pronti a scommettere che questo sarebbe stato il futuro. E invece? Invece, nonostante i numeri alti di adesione e i risparmi economici per lavoratori e per imprese, torna in vigore la legge del 2017 (numero 81). Accordi individuali, quindi dipende tutto dall’azienda.

Dal 1 aprile il lavoratore, quindi, può accedere allo smart working solo se si sottoscrive un accordo individuale tra le parti. Deve essere indicata la durata del regime di lavoro agile e tutti i dettagli, compresi l’elenco degli strumenti di lavoro usati, i tempi di riposo (diritto alla disconnessione) e le forme di controllo. L’accordo deve essere conservato per cinque anni dalla sua sottoscrizione. E il datore di lavoro non in regola può essere sanzionato, dai 100 ai 500 euro per ogni lavoratore coinvolto. Basta dunque alle procedure semplificate mantenute nel periodo post-pandemia.

Una rivoluzione che riguarda milioni di italiani. Nel 2023 i lavoratori da remoto sono stati oltre 3,.5 milioni (dati Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano). Meno rispetto agli anni del Covid, ma si tratta di un +541% rispetto al periodo pre-pandemia. E per il 2024 le stime erano, prima del cambio di rotta, di un aumento: 3.65 milioni. E dire che il lavoro da remoto oltre a essere per molti lavoratori un beneficio in termini di conciliazione lavoro-famiglia (basta pensare ai genitori con figli piccoli) è anche un guadagno economico per i dipendenti, ma anche per le aziende e per il Pianeta.

Sempre secondo Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano un lavoratore in smart working per due giorni alla settimana risparmia circa mille euro di trasporto l’anno. Anche se bisogna calcolare un aumento dei costi delle utenze (luce e gas) per lavorare a casa di circa 600 euro anno. Quindi il guadagno si assottiglia a 400 euro all’anno. Il risparmio c’è anche per le aziende che facendo lavorare da remoto per due giorni a settimana spendono circa 500 euro in meno per ogni lavoratore e possono ridurre gli spazi degli uffici. Sono moltissime le realtà che in questi anni hanno infatti traslocato scegliendo sedi più piccole, quindi con affitti o acquisti a cifre più basse. In totale le stime del Politecnico di Milano parlano di 2500 euro in meno all’anno per le aziende per ogni singolo lavoratore in smart working almeno 2 giorni su 5. E infine c’è il Pianeta. Lavorare da remoto riduce le emissioni di CO2 fino a 450 kg annui per persona. L’ambiente ringrazia.

Ma, una volta calcolato il risparmio e i benefici, c’è da prendere in considerazione anche che lo smart working intacca i consumi. Secondo un vecchio studio di Confesercenti con 4,9 milioni di persone che non si muovono per andare al lavoro i consumi si riducono di 9,8 miliardi di euro, con la chiusura di oltre 20 mila attività e la perdita di 93mila posti di lavoro. Se facciamo le proporzioni con i dati previsti per il 2024: con 3,65 milioni di italiani in smart working i consumi quest’anno diminuirebbero di oltre 7 miliardi di euro.

Il bilancio effettivo si potrà fare fra un po’, contando gli accordi individuali che le varie aziende faranno da oggi in poi. E allora si capirà il futuro dello smart working in Italia.

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Cristina Colli