Sic transit gloria mundi: fermo di polizia per De Villepin, l'anti-Sarkozy
L'affascinante e colto ex premier francese che aveva sfidato l'America sulla guerra all'Iraq e poi Sarkozy, impelagato in un affaire di fatture gonfiate
Sic transit gloria mundi. Difficile immaginare con quale signorilità e il supporto di quale reminiscenza letteraria sarà riuscito oggi Dominique de Villepin, il politico francese forse più elegante, colto e raffinato degli ultimi anni, già primo ministro, ministro degli Esteri e per sette anni (dal 1995 al 2002) segretario generale dell’Eliseo, cioè l’eminenza grigia e il più stretto collaboratore dell’allora presidente Jacques Chirac, a sostenere questa mattina l’umiliazione dell’arresto nella caserma della gendarmeria di Parigi nel sedicesimo arrondissement.
Era un astro nascente appena qualche anno fa, de Villepin, con la sua estrazione d’alta borghesia (padre industriale), i suoi studi nella mitica ENA, fucina di tutti i grandi politici e amministratori francesi, la perfetta conoscenza di tante lingue straniere, la carriera diplomatica, la crescita e maturazione all’ombra di Chirac, e la formidabile passerella internazionale che lo ha portato il 14 febbraio 2003 a tenere davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite un discorso che rimane nella storia, protagonista acclamato (o vituperato, secondo i punti di vista) comunque all’altezza del ruolo controverso della Francia nell’opporsi alla guerra in Iraq.
L’11 settembre 2012 resterà come la giornata nera di de Villepin. Il 14 febbraio 2003, il suo momento di gloria. Allora, tra gli applausi degli ambasciatori dei Paesi ostili all’intervento e agli Stati Uniti, de Villepin prese la parola a nome della Francia per dire: “Noi siamo i guardiani di un ideale, noi siamo i guardiani di una coscienza. La pesante responsabilità e l’immenso onore che sono i nostri, ci devono portare a dare la priorità al disarmo nella pace… È un vecchio Paese, la Francia, di un vecchio continente come il mio, l'Europa, che ve lo dice oggi, che ha conosciuto le guerre, l'occupazione, la barbarie. Un Paese che non dimentica e che sa tutto ciò che deve ai combattenti della libertà venuti dall'America e altrove. E che tuttavia non ha smesso di restare in piedi di fronte alla Storia e di fronte agli uomini”.
Certo, quando anni dopo fu chiamato a commentare la guerra in Libia, a dispetto del suo odio, ricambiato, per Nicolas Sarkozy (ostilità che ha decretato la sua caduta in disgrazia politica), ha dimenticato le belle parole sulla pace e salutato l’intervento come un atto necessario per alleviare le sofferenze dei libici, quasi con le stesse argomentazioni con cui Stati Uniti e Gran Bretagna avevano giustificato l’attacco a Saddam Hussein. Ma la coerenza non fa parte della politica.
A de Villepin i suoi stessi compagni di partito gollisti rimproverano di non essersi mai battuto in una competizione elettorale (carenza che in Italia sarebbe oggi considerata un merito), ma di avere attraversato quasi volando, col fascino innato delle sue perfette maniere e il sostegno dei suoi mentori e amici, le principali stanze dei bottoni fino allo scontro con Sarkozy, che lo temeva e che lo ha combattuto e battuto. Diplomatico di nascita e di carriera, de Villepin lo è stato un po’ meno col suo rivale. Al punto che tra il 2006 e il 2009 ha dovuto affrontare un processo per macchinazioni illegali contro l’avversario (uscendone però assolto anche contro la clamorosa decisione del Presidente Sarkozy di costituirsi parte civile).
La stella di de Villepin si era appannata a Palazzo Matignon, come primo ministro alle prese con la rivolta delle banlieu e con la gestione inadeguata della politica economica e la riforma del mercato del lavoro (Chirac fu costretto dalle proteste ad abrogarla), per poi perdere la flemma aristocratica insultando l’allora capo dell’opposizione socialista e attuale presidente Hollande in un memorabile question time all’Assemblée Nationale. Come il suo amato poeta maledetto Arthur Rimbaud (da cui il nome del figlio Arthur), la meteora del “politico maledetto” de Villepin, che i francesi già vedevano all’Eliseo, si è infranta giorno dopo giorno tra processi, passi falsi e conflitti interni ed esterni.
Fino all’ultimo, fallito tentativo di candidarsi all’Eliseo nel 2012 contro Sarkozy e Hollande dopo aver fondato un partito nuovo: “Repubblica Solidale”. “La destra mi spaventa e la sinistra m’inquieta”, ha scritto de Villepin in un appello ai francesi tra il primo e il secondo turno. “La vera risposta a questa deriva sarà quella di ricostruire un avvenire per il nostro Paese. Il 6 maggio, chiunque prevarrà, sarà la vittoria di un uomo, ma non la vittoria della Francia. Sarà tutto da fare. Tutto da reinventare”.
Adesso, invece, tutta da fare e da reinventare sembra essere, a 59 anni, la sua vita. E i discorsi all’Onu, il tenzone con Sarkozy e gli appelli alla Francia dovranno lasciare il posto alle carte bollate e alla difesa dalla più prosaica accusa di aver cercato di coprire un sistema di fatture gonfiate e commissioni occulte legate alla vendita della guida Relais & Château, coprendo l’amico Regis Bulot che ne era stato presidente fino al 2006 ed è in carcere dallo scorso novembre.
L’ultima sua foto sul sito di Le Monde (che ha rivelato il fermo di questa mattina) è un de Villepin di spalle che “spinge” con due mani un camino appartenuto alla grande Sarah Bernhardt nel suo studio d’avvocato, quasi volesse “abbattere i muri dell’ordine politico prestabilito”. Ironia della sorte, quell’immagine ricorda oggi più quella di un uomo con le mani in alto appoggiate al muro, durante un’irruzione della polizia.