Sandro Bondi: La pacificazione è morta
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Sandro Bondi: La pacificazione è morta

Spara contro Angela Merkel. Contro l’illusione di una ripresa. E contro i democratici, gli «irriformabili» che vogliono solo fare fuori Berlusconi per via giudiziaria. Il sorprendente sfogo del coordinatore del Pdl.

Onorevole Sandro Bondi, dopo la condanna di Silvio Berlusconi lei ha messo in guardia addirittura contro i rischi di una guerra civile se l’agibilità politica non fosse stata garantita.
Ho detto guerra civile «fredda». È in corso. E da parecchio.
Uno scontro politico aspro è diverso dalla guerra civile.
Novembre 1994: avviso giudiziario e complotto di palazzo per abbattere il presidente democraticamente eletto. Novembre 2011, e cito Jürgen Habermas: «Un quieto colpo di stato dell’Europa ai danni dell’Italia» ha portato al governo Monti. Devo dilungarmi su quanto è avvenuto tra il 1994 e il 2011? E, infine, ultimo atto: sentenza della Cassazione con affondo del Pd sulla decadenza di Berlusconi. L’avversario politico eliminato per via giudiziaria ed estromesso dal Parlamento con atti illegittimi. Lei lo chiama scontro politico aspro?

Riproporre Forza Italia le sembra una risposta all’altezza della situazione?
Sì, è l’ultima chiamata prima della catastrofe.
Che cosa vuol dire ultima chiamata?
Forza Italia non vuole essere un partito.
Questo non spiega molto.
Intende essere il punto di raccolta per tutti gli italiani che desiderano salvaguardare i principi essenziali della vita democratica.
Perché la famosa pacificazione è irreversibilmente fallita...
La verità è che il Pd non ha mai voluto attribuire un valore politico al governo Letta, né riconoscere Berlusconi e il Pdl come sottoscrittori di un’alleanza politica, sia pure d’emergenza.

Quando vi siete accorti che era morta?
Quando hanno approfittato della sentenza della Cassazione per chiedere la decadenza del leader dei moderati prima ancora di discutere la legittimità della legge Severino e rifiutando ogni soluzione politica.
La vostra ingenuità è commovente.
Ha ragione. È stata una vera ingenuità pensare che la sinistra fosse cambiata e che fosse possibile una legittimazione reciproca.
Lo scontro su Imu e Iva gira attorno al problema. Lei pensa davvero che sia possibile uscire dalla crisi in tempi accettabili, avendo messo in Costituzione il pareggio di bilancio, nel rinsecchimento del credito, nella divaricazione crescente tra «ripresina» e occupazione, e con un’eterodirezione della politica economica?
In permanenza dell’attuale quadro europeo, e delle mancate riforme che imprigionano le nostre aziende, il vento della ripresa di cui parlano Giorgio Napolitano ed Enrico Letta non ci sarà.
Anche voi puntate sulla stabilità.
Che potrebbe rivelarsi un’illusione pericolosa.

Può spiegare?
Non c’è una vera stabilità, perché il governo è considerato da tutti provvisorio. Abbiamo solo un governo debole, senza effettivo sostegno politico, e perciò non in grado di incidere sul quadro europeo o di fare le riforme necessarie. Napolitano è il primo a doversi chiedere a chi giovi tutto ciò.
La campagna elettorale, che prima o poi arriverà, saprà misurarsi su differenze riconoscibili tra sinistra e destra rispetto all’euro e al miraggio dell’unione politica continentale?
Un governo di solidarietà nazionale dovrebbe vedere Berlusconi, Enrico Letta, Massimo D’Alema e Mario Monti recarsi tutti insieme in Europa per modificare i vincoli stupidi che stanno soffocando la nostra economia.
E, magari, operare insieme in Italia per modificare altri vincoli stupidi che ci siamo dati da soli.
Certo.
Ma questo non capita. La sfida di costruire una Germania europeizzata, secondo lei, è fallita?
Ha vinto l’ipotesi opposta, di un’Europa germanizzata.
Perciò?
Da questa Europa prima ce ne andiamo e meglio è, visto che non abbiamo la forza di cambiarla.

Farebbe la gioia dell’elettorato di destra più radicale, onorevole Bondi.
O Angela Merkel diventa un leader europeo, e non l’amministratore delegato di una grande potenza economica che vuole un’Europa a sua immagine e somiglianza, oppure sfrutta il suo successo elettorale per rafforzare la politica fatta fin qui.
Nel secondo caso?
In questo caso, che ritengo il più probabile, l’appartenenza all’Europa diventerà la nostra rovina.
Gli intellettuali della Forza Italia del 1994 erano pochi, sei, ma di valore. Ora sono quasi zero. Una Beresina.
Se gli imprenditori più coscienti e gli intellettuali più illuminati non comprenderanno che questa è l’ultima battaglia per difendere non l’impero, ma lo spazio di un’Italia civile e moderna, vorrà dire che la battaglia sarà persa.
La vostra gente potrà anche stimare Angelino Alfano, ma ha già deciso che non sarà il suo futuro leader.
Il leader è Berlusconi. Dopo un leader carismatico come lui sarà difficile per chiunque succedergli. La funzione di Alfano è importante oggi e sarà ancora più importante per il futuro centrodestra.

Perché avete tanto insistito sull’agibilità politica formale di Berlusconi, senza andare alla sostanza? Pensate che sia mai esistita una sola possibilità su un milione che Napolitano potesse, o volesse, risolvervi il problema? Perché Berlusconi non affida le sue scartoffie a un avvocato d’ufficio e non fa politica da dove può?
Siamo stati ingenui. O meglio, di una pasta diversa dalla sinistra comunista. Berlusconi per primo è un «marziano», in un mondo gretto e ipocrita come quello della politica italiana. Ma i calcoli di chi immagina di averlo prostrato sono sbagliati, creda a me.
Come può nascere un Pd pacificato?
Il Pd è un partito irriformabile.
Matteo Renzi?
È un vero leader, dice lei? Vedremo.
Vedremo che cosa?
Se rifiuterà di guidare un partito irrimediabilmente marcio e proverà a fondare una storia totalmente nuova.   
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Andrea Marcenaro