dottor Gerardo Torre
Il dottor Gerardo Torre.
Salute

Il dottor Torre: «Ecco la lettera dell'Ordine sul mio procedimento disciplinare»

Pubblichiamo il documento con cui il medico di emergenza di Pagani, che ha curato a casa oltre 3.000 pazienti Covid, è stato messo sotto inchiesta dai colleghi.

Per vedere la lettera dell'Ordine dei medici di Salerno, cliccare qui sotto:

convocazione giudizio torre.pdf

«Per un vero medico un paziente non è un numero né una malattia. Questa è la mia filosofia. E per questo finirò davanti all'Ordine dei medici». Il dottor Gerardo Torre, campano di Pagani, è un fiume in piena. Medico di emergenza-urgenza nell'ambito della Asl Salerno 1, ha 66 anni («Trent'anni di medicina: con la Croce rossa e con l'associazione da me fondata, Medicina itinerante, mi sono occupato di varie emergenze, dal terremoto dell'Aquila alla guerra in Libia»). Durante l'emergenza Covid Torre è andato a visitare a domicilio oltre 3.000 malati, nessuno dei quali è deceduto. Ma l'Ordine dei medici di Salerno ha aperto un procedimento contro di lui: il giudizio disciplinare si svolgerà il 28 gennaio alle ore 20 presso la sede dell'Ordine. Panorama pubblica la lettera di convocazione e lo intervista.

Perché l'Ordine dei medici di Salerno ha aperto un provvedimento disciplinare nei suoi confronti?

«Perché c'è stato uno scontro fra me e tutta una classe medica locale dell'Agro Nocerino Sarnese, che ha avuto un suo sviluppo anche a livello nazionale, per le mie affermazioni sulle terapie da somministrare e sui comportamenti da adottare nei confronti dei pazienti affetti da Covid».

Che cosa ha detto?

«Diciamo che qualche scompenso dialettico è partito anche dalla mia bocca. Devo ammetter che siamo arrivati a termini non molto gradevoli».

Ma esattamente che cosa ha detto ai suoi colleghi?

«In certe occasioni, anche in pubblico, ho sottoscritto che il comportamento di moltissimi miei colleghi era assolutamente delinquenziale».

Ci è andato giù duro...

«Ho anche sottoscritto che determinate assenze dal territorio, in termini di interventi della medicina territoriale, hanno prodotto una quantità di decessi che potevano essere evitati. Perché io sono convinto, lo dico da marzo 2020, che tutte le epidemie del mondo vanno trattate con la medicina di territorio e non con quella ospedaliera. Perché in ospedale ci si arriva sempre e comunque con complicanze. Se tutta la medicina di territorio fosse stata presente, se fosse stato quasi imposto ai medici di raggiungere i loro pazienti all'inizio dell'attacco virale, noi avremmo avuto molti meno decessi da Covid. Quando un medico abbandona il suo paziente e il risultato è la morte, come dobbiamo chiamarlo?».

Quindi lei ha detto ai medici di base che erano delinquenti perché, anziché andare a visitare e a curare i loro pazienti, se ne stavano nel loro studio?

«Ho solo detto che gli atteggiamenti e i modi di operare di moltissimi miei colleghi erano pseudo-delinquenziali, delinquenziali».

Ma cosa hanno fatto in concreto questi suoi colleghi?

«Molti di loro hanno chiuso i telefoni, moltissimi di loro non hanno avuto la coscienza di raggiungere i loro pazienti. Io invece penso che, anche se lo Stato, l'Ordine dei medici o l'Asl gli dicono di non muoversi dall'ambulatorio e di prescrivere tachipirina e vigile attesa, quando un vero medico riceve una richiesta di aiuto da un malato, deve prendere e andare a casa a visitarlo. Questa non è coscienza medica, è solo sudditanza stupida di fronte a un'azione che ha prodotto 100.000 morti».

Lei, insomma, si è ribellato.

«Io ritengo che i medici per fare i medici abbiano bisogno di visitare, non di immaginare protocolli, linee guida e telefonate... E quando ho fatto quello che la mia coscienza mi ha imposto di fare, cioè andare a visitare a casa oltre 3.000 malati di Covid, i miei colleghi mi hanno detto che ero un imbecille, un fuorilegge, uno che non seguiva le direttive. Allora ho risposto che loro erano dei delinquenti».

In che contesto ha detto queste cose?

«Durante la pandemia i miei pazienti hanno organizzato degli incontri, nel corso dei quali io spiegavo che cosa stava succedendo, cosa potevano fare e cosa non potevano fare. Si è trattato di cinque-sei interventi che definirei comiziali, ma sempre a livello locale. In quelle occasioni, io ho dovuto sottolineare degli atteggiamenti di alcuni miei colleghi, che non ho offeso. Ho parlato di modo di fare».

Ma l'ha definito delinquenziale...

«Brava. In un incontro ho detto che era da marzo 2020 che io chiedevo ai miei colleghi, in preghiera, di tornare a fare i medici, ma che quelli non mi ascoltavano. Poi mi sono chiesto come fosse possibile, durante una pandemia, fare telemedicina, come si potesse valutare una persona senza metterle un fonendoscopio dietro le spalle, senza controllarle la gola, senza sentire il cuore, senza una palpazione... “Come si fa medicina così?” mi sono chiesto. E allora sono sbottato: “Siete dei delinquenti, a questo punto”».

La convocazione dell'Ordine è arrivata In seguito a queste dichiarazioni?

«No, no. È arrivata dopo che mi hanno denunciato i colleghi».

L'hanno denunciata all'Ordine? In quanti?

«Non lo so, ma credo una buona quantità. Io li avevo criticati per il loro assenteismo».

Lei aveva criticato, con toni accesi, i suoi colleghi per l'assenteismo mostrato durante la pandemia?

«Esatto. Specialmente nel 2021, perché fino al 2020, in assenza di vaccino, si potevano anche capire. Ma una volta vaccinati, perché hanno continuato a stare barricati nei loro ambulatori? D'altro canto, perché la categoria dei medici è stata vaccinata per prima? Proprio per questo».

Mi dica la tempistica: quando è arrivata la convocazione dal presidente dell'Ordine di Salerno?

«Il 22 settembre. Io mi aspettavo un riconoscimento per il lavoro fatto e invece il presidente, Giovanni D'Angelo, mi ha fatto un richiamo. Io gli ho mandato una lettera di scuse (chiamiamola così) nei confronti dei miei colleghi, dicendo che nell'enfasi di un momento particolare, sottoposto ad attacchi paralleli, io mi ero permesso di dire delle cose. I miei colleghi e io eravamo come due galletti che si bisticciavano. Poi sa, quando si fa un comizio, non è che si riesce a frenare...»

… la foga.

«Proprio così. Comunque, accertato che in passato ho avuto una caduta deontologica, ora io non posso accettare che mi vengano a redarguire perché vado a fare le visite».

Il presidente l'ha ripresa e lei ha mandato le sue scuse. E poi?

«Io avevo pregato il presidente di chiudere lì la vicenda. E invece no: sono stato deferito davanti al Consiglio dell'Ordine. Il 13 dicembre la Commissione medica dell'Ordine ha deliberato l'apertura di un procedimento disciplinare nei miei confronti “per le esternazioni profferite in materia di cure della patologia da Covid 19 e alcune affermazioni in merito alla pratica vaccinale (…), nonché per il comportamento irriguardoso tenuto nei confronti di colleghi impegnati a fronteggiare l'emergenza sanitaria in atto”».

Ma perché la lettera è stata mandata anche alla Procura della Repubblica e al ministero della Salute?

«Questo non lo so. Io avevo mandato un messaggio di pace. Sono una persona tranquilla, però è chiaro che non mi devono sospendere».

Lei non è si è pentito di niente, vero?

«Assolutamente no. Io ho mandato una lettera di scuse per i miei epiteti, determinati da un momento ansiogeno e comiziale. Dopo dopo aver passato due anni a visitare malati dalle otto di mattina alle tre di notte, perdendo anche il ritmo familiare, ricevendo 500/600 messaggi al giorno, dormendo tre ore a notte, ero molto stressato. Anche perché, sulla cinquantina di medici presenti nel territorio di Pagani, a fare visite domiciliari ai malati di Covid andavamo solo io e un altro paio di medici».

E gli altri?

«Gli altri hanno messo le barricate tipo Achtung davanti agli ambulatori. E molti continuano. Ci sono pazienti che non vedono i loro medici da un anno e mezzo».

Da un anno e mezzo? Veramente?

«Certo. C'è un motivo per cui mi sono arrabbiato, mi scusi. Io sono un medico che vede il paziente non come un numero, ma come una persona che soffre e che ha paura. E sono convinto che la parte più importante nel confronto fra medico e paziente è il paziente. Non il medico».

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Elisabetta Burba