Riforma della giustizia e  lapsus freudiani
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Riforma della giustizia e lapsus freudiani

Il Guardasigilli annuncia ai cronisti: "Vi darò il testo quando lo avranno approvato i pm": Una gaffe rivelatrice

Prima dell'avvio del Consiglio dei ministri di ieri, 30 giugno 2014, un cronista impaziente chiede al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quando sarà pronto il testo in 12 punti che individua gli obiettivi delle «linee guida» per la riforma della giustizia. E che cosa gli risponde Orlando? Preparatevi, perché il lapsus è così freudiano che più freudiano non si può: «Quando l'avranno approvato i pm». Risate degli astanti. Poi ovviamente Orlando sorride e si corregge: «Quando l'avranno approvato i ministri questa sera, in Consiglio...».

Ecco, la dice lunga la gaffe del Guardasigilli. Del resto, su almeno 3 dei 12 punti le batterie dell'Associazione nazionale magistrati avevano cominciato a sparare bordate (attraverso i giornali amici) ancora prima che s'iniziasse minimamente a parlare dei progetti del governo. Intercettazioni, responsabilità civile, riforma del Consiglio superiore della magistratura? Pum, patapum, ripatapum: subito è partito l'armamentario delle parole d'ordine-balla con cui la categoria da decenni immobilizza preventivamente qualsiasi discussione. Ovvero: qui si vuole minacciare l'indipendenza della magistratura; chi tocca le intercettazioni vuole soltanto favorire la criminalità organizzata; il Csm non si tocca perché è il baluardo dell'autonomia... Insomma, no pasaran.

È un peccato sapere in anticipo (scommettiamo?) che il governo Renzi non combinerà nulla di serio su nessuno di questi tre punti, fondamentali per restituire civiltà al nostro sistema giudiziario. È una vergogna, anzi: perché soltanto l'ultimo dei tre elementi, quello riguardante il Csm (che il governo ha rubricato con queste parole: «Più carriera per merito e non grazie all'appartenenza») meriterebbe un lavoro serio, impegnato, risolutivo. Lo richiederebbe, da sola, l'indecorosa vicenda emersa con il contrasto tra il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, e il suo capo Edmondo Bruti Liberati

Vale la pena di scrivere una volta di più quel che Robledo ha riferito di avere ascoltato da Bruti 4 anni fa, poco dopo essere diventato il numero 2 di una tra le Procure più importanti d'Italia. Robledo racconta che Bruti, in quel momento suo pari grado, gli offre di occuparsi di truffe e reati edilizi, con la possibilità di ottenere comunque qualche fascicolo d'inchiesta in materia di corruzione. Alla perplessità manifestata da Robledo, che ambiva a qualcosa di diverso, Bruti avrebbe risposto (così scrive Robledo), rinfacciandogli la posizione favorevole manifestata dalla sua corrente, Magistratura democratica, posizione che al momento del voto gli aveva garantito la nomina a Milano: «Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Consiglio che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto». 

Vi basta, per convincervi che le correnti giudiziarie andrebbero estirpate seriamente dal Csm? No? non vi basta? Allora ascoltate quest'altra storia, che fa rabbrividire. È stato un bravo gip a raccontarmela, un po' di tempo fa. Non faccio il suo nome, perché sono certo finirebbe male. Ma racconto la sua storia, perché ogni volta che ci penso mi sconvolge. E giuro che è esattamente quel che mi è stato detto.

Pare che capiti abbastanza spesso che un giudice, il quale sta per emettere una sentenza o un'ordinanza di qualche importanza, venga riservatamente contattato da magistrati amici o conoscenti, che gli si presentano più spesso in «rappresentanza» della stessa corrente del giudice, o più raramente a nome di quella del pm che si sta occupando del caso. Questi gli fanno capire che dalla sua decisione dipendono pratiche sanzionatorie e/o nomine di cui si sta per occupare il Csm. E gli spiegano che se si esprimerà in senso contrario a quello chiesto dal pm o comunque a lui gradito, la corrente di quest'ultimo non aiuterà la corrente del giudice a procedere a una promozione cui la corrente tiene tanto, o a una nomina importante, fondamentale per la corrente stessa. 

Quindi il nostro giudice viene letteralmente coinvolto in un disgustoso mercato di vacche, per di più condotto sulla pelle dei poveretti di cui si sta occupando. Certo, se il giudice è un galantuomo segue la sua coscienza e ignora avvertimenti e pressioni. Ma se invece il nostro giudice ha ambizioni, è evidente che alla corrente deve ubbidire, pena l'emarginazione. 

Ecco. È dalla necessità di abbattere scambi osceni come questi che una riforma della giustizia seria deve partire. E deve partire proprio dal Consiglio superiore della magistratura. Ed è proprio per questo che da anni c'è chi si batte per creare due distinti ambiti tra magistrati inquirenti e giudicanti, separando per le due figure le sezioni del Csm che si occupano di sanzioni e carriere. Soltanto da quel passaggio si potrà iniziare a evitare quel tipo di commistioni e di intrecci correntizi che da anni avvelenano il sistema giudiziario. Lo farà mai il governo Renzi? Viste le premesse, e ascoltati certi lapsus rivelatori, io sono quasi certo che non ci proverà nemmeno.  

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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