Renzi lascia il Pd, sistema Zingaretti, poi tocca a Conte
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Renzi lascia il Pd, sistema Zingaretti, poi tocca a Conte

Dietro la scissione c'è la smania di potere di un politico bocciato dalla urne che ora controlla il Governo Conte #staisereno

Allacciate le cinture: Matteo Renzi è tornato e si prepara a una spericolata corsa per riprendersi Palazzo Chigi. Sì, manco il tempo di accendere la macchina del nuovo governo e il senatore semplice di Scandicci è pronto a mandarne il motore fuori giri e, prima possibile, a fonderlo. Già, perché questo alla fine rimane l'obiettivo a cui punta l'ex presidente del Consiglio.

Ora sussurra suadente all'orecchio dell'uomo che ha contribuito a salvare dalle elezioni anticipate e da un ritorno alla docenza (ho scritto docenza e non decenza). Ma mentre assicura lunga vita a Giuseppe Conte e al suo esecutivo, invitandolo a stare sereno come fece con Enrico Letta, potete star certi che prepara una trappola per sfilargli il prima possibile la poltrona. Perché è ovvio che il percorso intrapreso ad agosto dall'ex segretario del Pd, con un triplo salto mortale che lo ha portato ad abbracciare il Movimento 5 stelle, non è gratis, ma è destinato ad approdare lì, cioè a Palazzo Chigi.
Perché Renzi è Renzi e non potete credere che sia cambiato solo perché è stato battuto alle elezioni. Perché Renzi è Renzi e nonostante le sconfitte non imparerà mai la lezione che gli è stata impartita dagli italiani. Perché Renzi è Renzi e fa sempre il contrario di ciò che egli stesso garantisce che farà.
Il suo chiodo fisso è lo stesso di tre anni fa quando, cacciato da un voto popolare al referendum costituzionale, si fece sostituire pro tempore da Paolo Gentiloni. Il governo di Er Moviola, per lui, doveva essere una parentesi della sua ascesa, un piccolo intoppo che avrebbe dovuto dopo un certo periodo consentirgli di rioccupare il posto di presidente del Consiglio. E probabilmente, non ci fosse stato il tracollo del 4 marzo dello scorso anno, ce l'avrebbe fatta. Ma poi è arrivato il responso delle urne, con un Pd al 18 per cento, e il risultato non gli ha lasciato altra scelta che il passo indietro. Un addio che però, nella sua testa, è sempre suonato come un arrivederci, perché l'uomo, fino all'ultimo, non solo ha brigato per non abbandonare la presa sul Pd, ma si è dannato l'anima per predisporre un suo rapido ritorno.

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Maurizio Belpietro