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Domenico Fisichella (Imagoeconomica)
Politica

Fisichella: «Come sta la destra? I numeri non bastano…»

L'ideologo della svolta di Fiuggi analizza il presente con Giorgia Meloni e l'aspirazione a essere maggioranza nel Paese e leader naturale della coalizione

Parla Domenico Fisichella, senatore di lungo corso, ministro dei beni culturali e ambientali nel primo governo Berlusconi, vicepresidente del Senato della Repubblica per dieci anni, “ideologo” della celebre “svolta di Fiuggi”: «La nascita di Alleanza Nazionale? Non si trattò semplicemente della conquista del governo da parte degli ex fascisti». E tra un presente confuso e un futuro enigmatico, il politologo registra che «i numeri danno il centrodestra maggioranza nel Paese e Giorgia Meloni naturale leader della coalizione, almeno a sentir ora questo ora quello».

Messinese, classe 1935, laureatosi in Filosofia del diritto con Sergio Cotta, avviò la carriera accademica come assistente di Giovanni Sartori (vincitore del concorso in sociologia e cattedratico nella celebre Facoltà Cesare Alfieri di Firenze), per poi aggiudicarsi il primo concorso nazionale per l’allora Scienza della politica, che lo vide ordinario di Dottrina dello Stato prima nella città medicea e poi di Scienza della politica alla Sapienza di Roma, nonché docente della stessa disciplina anche alla LUISS. Il successo dei suoi studi è testimoniato tra l’altro dalle traduzioni dei suoi lavori (volumi e saggi) in francese, inglese, spagnolo, portoghese, ungherese e rumeno.

Editorialista per decenni di importanti quotidiani, membro per dodici anni del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, dalle basi ”ideologiche” della celebre “svolta di Fiuggi” che battezzò la nascita di Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini (Fisichella fu presidente dell’Assemblea nazionale per dieci anni) alla nomina a ministro, fino all’annunciato abbandono di campo allorché Alleanza Nazionale votò a favore della cosiddetta “devoluzione”, e poi all’elezione con diritto di tribuna (cioè libertà di valutazione) nelle liste della Margherita nel 2006, peraltro non aderendo, come fin dall’inizio annunciato, al progetto del Partito democratico. Frugando in una miriade di ricordi, tra l’accademia e la politica praticata, Panorama.it ha chiesto lumi a Domenico Fisichella: «Siamo già in campagna elettorale per le politiche del 2023».

Professore, trent’anni fa esatti Lei suggerì all’allora Msi di virare verso un’ “alleanza nazionale” per superare la storica ghettizzazione della destra.

«Effettivamente è così. Con due articoli di fondo del quotidiano Il Tempo, del quale ero editorialista, proposi nel settembre-ottobre 1992 la nascita di una Alleanza Nazionale, in grado di includere la classe dirigente missina disponibile a tale trasformazione, insieme a personalità di orientamento liberale, cattolico, monarchico. Fu un clamoroso successo. Nelle elezioni politiche dell’inizio 1992 il Msi, ormai da un pezzo in declino, aveva ottenuto appena il 5,4 per cento dei voti: nel 1994 Alleanza Nazionale conseguì il 13,5% dei consensi e due anni dopo il 15, 7%».

E così il 27 gennaio del 1995, a Fiuggi, quella visionaria locuzione divenne un partito conservatore in stile europeo, Alleanza Nazionale, appunto…

«Fu un grande risultato che aprì la strada a molte speranze che, a conti fatti, non si sono poi trasformate solo in delusioni. Certo, la formazione di una classe dirigente all’altezza delle sfide che si sono susseguite solo in parte ha conseguito i livelli necessari ad affrontare la complessità dei problemi di volta in volta sul tappeto, e tuttavia anche a destra la storia ha fatto il suo corso e certi nessi con un passato ormai improponibile sono evidenti e definitivi».

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e non si è trattato di acqua termale...

«Il sistema partitico italiano è ormai ampiamente sbrindellato. Indubbiamente, non ci sono più partiti di impianto e vocazione anti-sistema, ma emergono di volta in volta suggestioni populiste che sono dannose per una visione realistica del lavoro politico.

Si aggiunga che i sistemi elettorali per la designazione del Parlamento nazionale sono cambiati con frequenza e in una logica più partigiana che sistemica, e si capisce che il combinato disposto di questi due fattori (partiti inadeguati e leggi di voto fluttuanti) non incoraggiano la stabilità e l’efficienza del quadro politico complessivo».

L’alleanza con la Lega fu un errore sistemico: voi eravate strenui difensori dell’unità nazionale, la Lega anelava alla “devoluzione”.

«Purtroppo in quella occasione cruciale Alleanza Nazionale non fu all’altezza della situazione. Nonostante le assicurazioni a me più volte fornite, al dunque il partito finì per accedere alla impostazione leghista, la cosiddetta “devoluzione”. Da qui, come accennato prima, la mia uscita dal gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale e il passaggio al gruppo misto del Senato e poi, su invito di Francesco Rutelli, la ricandidatura e la rielezione».

Già allora le differenze sistemiche erano palpabili…

«La Lega ha e al dunque mantiene una prospettiva di disarticolazione istituzionale che è incompatibile con la vocazione e le necessità dell’unità nazionale. Di tale problema Giorgia Meloni e il partito che ella dirige devono farsi carico con attenzione».

Dopo un trentennio non è che il panorama sia cambiato di molto. Al posto di An c’è Fratelli d’Italia.

«Mi pare evidente che talune linee di continuità si possano rintracciare tra allora ed ora. Ciò detto, il percorso del tempo ha lasciato i suoi segni, e in questo quadro vorrei sottolineare che il tema dell’Europa, a me caro fin dall’inizio, ha conseguito a più riprese una consapevolezza che oggi mi sembra acquisizione raggiunta. Certo, non è realistico che un concerto come quello europeo ignori note di dissonanza, e quindi anche contrasti».

A proposito: FdI viaggia verso il 23%, primo partito nazionale.

«Che sommati al quasi 16 per cento della Lega e all’8 per cento di Forza Italia, con gli alleati minori, fanno il 50 per cento. Maggioranza nel Paese! Talune previsioni danno indicazioni di questo tipo. Se le urne così confermassero, nulla si potrebbe eccepire sotto il profilo quantitativo. Ma non conosco la consistenza effettiva delle conseguenze che ne potrebbero derivare anche in tema di guida di una compagine governativa di centro-destra. I numeri comunque contano, però…».

Professore, che fa, pone dei dubbi?

«In pari tempo, però, la storia italiana ci ha detto che talora leaders di partiti minori hanno ottenuto la guida di compagini governative».

Ma per un politologo puro come lei, una leadership non si fonda sul solo dato numerico.

«Il dato numerico è certamente un elemento significativo, ma può non essere sufficiente negli equilibri complessivi di un’alleanza di partiti, e in tale contesto va tra l’altro tenuto conto del fatto che, pur se uniti sul piano elettorale, poi nella dialettica complessiva non mancano i punti anche seri di frizioni, distinzioni valutative e anche contrapposizioni».

Lo attesta da tempo l’attualità politica…

«Al dunque, Fratelli d’Italia sta all’opposizione parlamentare, mentre Lega e Forza Italia sono al governo. Sono i punti di programma che poi determinano un progetto di governo. Ma in merito è meglio intendersi prima».

Guardiamo al quadro europeo…

«L’incardinamento dell’Italia in tale contesto mi pare per l’attuale Destra, se le parole e certi fatti hanno un senso, una maturazione ormai realizzata, fermo restando che non è più conforme al quadro internazionale vigente un’Europa per la quale su certe grandi questioni si possa prendere posizione solo se si riscontra il voto unanime degli Stati associati. E quest’ultimo dato significa che l’Europa non è ancora una federazione».

In che senso?

«Nella misura in cui l’Unione decidesse a maggioranza, va da sé che potrebbe materializzarsi un voto di dissenso. Ma ciò è nella logica di ogni sistema che voglia realizzarsi su basi rappresentative. Talvolta si prevale, talvolta no: ciò non esclude, al contrario, la logica dell’equilibrio, e consente in pari tempo l’efficacia della decisione.

Uno sguardo ad Est. La preoccupa questa guerra? Teme un’escalation nucleare?

«Non riesco neppure a immaginare un esito del genere. Certo, la situazione è grave. E le responsabilità sono esplicite. La Russia ha aggredito uno Stato sovrano. Vi erano situazioni pregresse meritevoli, secondo Mosca, di essere valutate e riconsiderate? Non mancavano e non mancano le sedi istituzionali di tipo sovranazionale adatte allo scopo. Ma non si colpisce con le armi e con l’invasione un Paese confinante. Fatta questa inoppugnabile premessa, l’auspicio è quello di una pace nella giustizia».

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Egidio Lorito