Con Draghi i due Matteo sempre più complementari
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Politica

Con Draghi i due Matteo sempre più complementari

Per Renzi l'esecutivo di Mr Bce significa divincolarsi dall'abbraccio mortale della nuova sinistra, composta da Pd, Leu e Movimento 5 stelle; aver riconquistato e protetto il centro dalle mire di Conte; Per Salvini è una prova di maturità, il superamento dello stigma di Bruxelles e della classe dirigente italiana ed europea. L'apertura a Draghi è un prezzo necessario da pagare ai sindaci, ai governatori, agli industriali del Nord. Entrambe, inoltre, ora hanno nemici politici in comune.

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Il nascente governo Draghi sarà soprattutto dovuto ai due Matteo. Renzi ha avuto la forza di aprire la crisi di un governo che non aveva più spinta né programma, Salvini di aver aperto ad un esecutivo largo per l'ex banchiere centrale e di non aver seguito Giorgia Meloninell'opposizione a prescindere. Il 2019 aveva lasciato in sospeso la partita tra i due leader. La mossa del cavallo di Renzi aveva relegato la Lega all'opposizione e proiettato Giuseppe Conte a leader nazionale. Una strategia che, fin dal principio, non poteva che essere di corto respiro perché dava alla luce un esecutivo sorto contro le elezioni e la vittoria del centrodestra. Alla prima occasione offerta dalla pausa della pandemia, l'ex Sindaco di Firenze ha fatto ciò che avrebbe voluto fare la scorsa primavera. E' difficile credere che l'operazione Draghi nasca in maniera del tutto spontanea, come coniglio dal cilindro del Capo dello Stato. Si può sopporre non soltanto che la Lega abbia già espresso un assenso ad una soluzione di questo tipo già durante le consultazioni, ma anche che i due Matteo si siano accordati o quantomeno consultati al principio della crisi. Renzi, come noto, è abile tessitore e conoscitore di numeri e logiche parlamentari. Un talento ereditato da Denis Verdini, l'uomo ponte tra Salvini e Renzi, tra centrodestra e centrosinistra.

Salvini questa volta ha dimostrato di imparare dalla storia e di aver saputo fare un esercizio di puro realismo e strategia. La Lega aiuterà Mario Draghi, il quale sa di avere bisogno del partito che più rappresenta i piccoli ceti produttivi e di una maggioranza più equilibrata che si addica all'uomo di sistema che è. Il segretario leghista ha preso atto dell'impossibilità del ritorno alle urne, tenuto conto del potere d'influenza del Quirinale, ascoltato Giancarlo Giorgetti nell'indirizzare la Lega verso la legittimazione europea ed internazionale. Sì perché la politica non è soltanto consenso, come molti ingenuamente credono, ma rete fittissima di relazioni, equilibri istituzionali e riconoscimenti. Ciò vale soprattutto per un Paese a sovranità limitata e con un sistema politico litigioso come l'Italia. Lo dimostra Renzi che con il suo partito inesistente ha fatto e disfatto tre governi e lo prova Salvini con la sua mossa del cavallo a sostegno di Draghi. Quali sono dunque gli orizzonti dei due Matteo?

Per Renzi l'esecutivo Draghi significa divincolarsi dall'abbraccio mortale della nuova sinistra, composta da Pd, Leu e Movimento 5 stelle; aver riconquistato e protetto il centro dalle mire di Giuseppe Conte; essersi aperto una strada per costruire un polo con Carlo Calenda e con vari pezzi di Forza Italia; poter guardare sia a sinistra che a destra nel suo futuro politico. Per Salvini è una prova di maturità, il superamento dello stigma di Bruxelles e della classe dirigente italiana ed europea. L'apertura a Draghi è un prezzo necessario da pagare ai sindaci, ai governatori, agli industriali del Nord; è il biglietto per rientrare nel gioco dell'elezione del prossimo inquilino del Quirinale; e significa anche l'abbandono delle posizioni più radicali a favore dei consigli di quella parte d'opinione pubblica vicina al suo partito più realista, governista, concreta. Salvini potrà certo perdere qualche consenso, ma ne guadagna molto in agibilità politica. Domani, per la Lega, sarà più facile piazzare un proprio inquilino a Palazzo Chigi in caso di vittoria di elezioni da parte del centrodestra. Si apre, inoltre, anche un naturale percorso che porta la Lega verso il Partito Popolare Europeo. Chi a Bruxelles potrebbe dire di no ai leghisti dopo aver sostenuto il governo di Mario Draghi? Da oggi Salvini sarà più simile a Sebastian Kurz e Pablo Casado che a Marine Le Pen. Ma questa trasformazione del Carroccio apre anche una via, ad oggi potenziale e certamente faticosa, alla legittimazione della destra nello Stato. L'anomalia italiana risiede, infatti, nell'aver il Pd come unico partito di sistema, rappresentato nei gangli del potere burocratico, finanziario, giudiziario e culturale. Una delle maggiori sfide del futuro del centrodestra sarà riequilibrare questo assetto. In questo processo Renzi, da sempre inviso agli intellò e alla nomenclatura di sinistra, può essere un valido alleato. Poiché, in fondo, ciò che unisci davvero Renzi e Salvini sono i loro comuni avversari. Con Draghi si è aperta una operazione à la Macron, con una confluenza tra sinistra e destra pur nelle peculiarità bizantine del nostro Paese. Il suo governo sarà a tempo ed è illusorio pensare che possa fare molto di più che impostare un buon uso dei fondi del Recovery fund e di varare una manovra economica di una certa consistenza. Tuttavia, l'operazione ha già ridisegnato gli equilibri e, per quei partiti e leader che sapranno cogliere le occasioni, anche la mappa del potere italiano.

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Lorenzo Castellani