Le domande a cui questa Chiesa non risponde più
«Per noi l’oratorio era come i social per i ragazzi di adesso. Non ne potevi fare a meno». Mio fratello è particolarmente soddisfatto del suo ardito paragone. Siamo a casa mia, durante le feste di Natale. Una tavolata in cui si sta tutti in famiglia e si ha tempo per le chiacchiere che durante l’anno vengono travolte dagli impegni quotidiani. Siamo tutti reduci dalle celebrazioni natalizie: le chiese abbastanza piene, certo, ma tante persone che poi, durante l’anno, a messa non si vedono più. E, in ogni caso, pochi giovani. Pochissimi. Sempre di meno. Di qui la discussione. E il paragone di mio fratello. Per noi infatti l’oratorio era una scelta inevitabile, il luogo d’incontro, il punto di riferimento. Lì avevamo gli amici. Lì abbiamo conosciuto le nostre future mogli. Lì siamo cresciuti giocando a pallone e prendendoci le prime responsabilità. E da lì siamo entrati in chiesa per non uscirne più.
Ma i ragazzi di oggi? Chi li porta in chiesa? Tik Tok? Instagram? WhatsApp? Ci sono sacerdoti che provano, anche con un certo successo, a usare i social per comunicare con i giovani. Ballano, cantano, scherzano. Ma la concorrenza è troppo forte. L’oratorio, per noi, era l’unico vero influencer. Oggi, invece, basta scorrere sullo schermo e di influencer se ne trovano a bizzeffe. Infatti i dati dell’Istat sono impietosi: tra il 2003 e il 2023 la proporzione di chi frequenta regolarmente la chiesa si è ridotta dal 35,4 al 17,9 per cento. E il crollo della partecipazione riguarda soprattutto i giovani: fra i 14-34enni infatti solo il 7 per cento frequenta regolarmente la chiesa mentre oltre il 50 per cento non la frequenta mai. Non è difficile da immaginare: chi passa le sue giornate su Tik Tok anziché all’oratorio è difficile che trovi la strada che porta alla chiesa. Al massimo trova quella che porta a Onlyfans.
E così ci troviamo di fronte a paradossi evidenti, almeno dal punto di vista mediatico. Roma si riempie di pellegrini, ma intanto le chiese si svuotano. L’anno del Giubileo attira le folle, ma intanto a messa non ci va più nessuno. Com’è possibile? Roberto Volpi sulla «Lettura» del Corriere della Sera, commentando il crollo delle presenze giovanili davanti all’altare, si pone una «domanda da un milione di euro»: «Che ne è delle sterminate folle giovanili che agitano bandiere, cantano e suonano alle Giornate della Gioventù? Dove vanno a finire, dopo? Tutte disperse a fine giornata?». L’impressione è che anche il cristianesimo sia diventato un po’ un fenomeno mediatico: sotto la copertina, nulla. O molto poco. Passato il grande evento, l’annuncio, il momento clou con il Papa star, non resta molto. Una fede più da spendere nei titoli di telegiornale che nella quotidianità.
Eppure che la Chiesa abbia ancora una grande forza di aggregazione sul territorio lo testimoniano mille storie di tutti i giorni. Una me l’ha segnalata il nume tutelare del Grillo: arriva da Molinelli, piccola frazione in provincia di Arezzo. Dopo il decesso del parroco le famiglie (una trentina di tutto) temevano che la piccola chiesetta locale, costruita dai loro padri, venisse dismessa. E così si sono messi al lavoro. Chi ha fatto il falegname, chi l’elettricista, chi ha organizzato una colletta per pagare le bollette di luce e gas, chi è andato a rompere le scatole al vescovo per avere un prete, almeno una volta al mese. E così la chiesetta di campagna è stata salvata.
Quello che arriva da Molinelli è un segnale in controtendenza di fronte ai sempre più numerosi edifici di culto abbandonati. E certo è anche un piccolo segnale di speranza per chi, come noi, non si arrende alla scristianizzazione del Paese. Ma ci si può accontentare? Vi faccio una confidenza. Io non penso che mio fratello abbia ragione. L’ho detto durante quel pranzo di famiglia. Pensare che la chiesa possa tornare centrale oggi con gli oratori o con le chiesette di Molinelli non è solo irrealistico, ma anche sbagliato. Piuttosto la Chiesa dovrebbe recuperare quello che ha perso in questi anni, quando si è accomodata, pensando che bastasse trasformarsi in un’opera di assistenza sociale per attirare gente. Non è così.
La Chiesa esiste per annunciare il Vangelo, cioè per dare una risposta alle domande che tutti gli uomini (tutti, nessuno escluso) si fanno. E il problema della Chiesa oggi non sono gli oratori vuoti o le chiesette di campagna che chiudono: è l’incapacità di testimoniare la fede nell’aldilà. È il Papa che non si fa il segno della croce davanti a Giorgio Napolitano morto. Sono le encicliche che parlano di smaltimento di rifiuti e non di Gesù Cristo. Sono Luca Casarini che diventa profeta e le ong che diventano la nuova religione. Ecco qual è il problema. Nei mesi scorsi, facendo una inchiesta sugli sciamani in Italia, sono rimasto colpito da quanti giovani si affidano a santoni esoterici per cercare la risposta alle loro inevitabili inquietudini. Perché quella risposta non la cercano più nella Chiesa? Solo perché l’oratorio è chiuso? Solo perché c’è TikTok? O forse perché, in chiesa, manca qualcosa di più essenziale? n
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