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Perché Renzi ha scaricato Marino ma si tiene De Luca

Il doppiopesismo del premier nei confronti dell'ex sindaco e del governatore della Campania è la spia del suo vero punto debole

Chissà cosa pensa Ignazio Marino, silurato per quattro scontrini, del silenzio del premier e segretario del suo partito Matteo Renzi sulla presunta compravendita a favore del governatore campano Vincenzo De Luca. Forse lo stesso che stanno pensando in tanti. A cominciare dai consiglieri dem di Roma costretti a dimettersi per far contento lui ancora prima dei romani stessi. E cioè che Renzi è un garantista a correnti alterne che fa il forte con i deboli, alla Ignazio Marino, e il debole con i forti, alla Vincenzo De Luca.

Al netto delle inefficienze amministrative, che anche qui non ci siamo mai risparmiati di segnalare e sottolineare con forza, il momento vero di rottura nel rapporto tra l'ex sindaco di Roma e il suo partito ha addirittura preceduto l'iscrizione di Marino nel registro degli indagati per peculato e falso in atto pubblico in merito alle presunte cene istituzionali pagate dal primo cittadino con la carta di credito del Comune i cui giustificativi riportano delle firme che non appartengono a Marino stesso.

Diversamente, il momento di rottura tra il Pd e il governatore campano non è mai arrivato. Non quando gli fu permesso di candidarsi nonostante pendesse sul suo capo una condanna in primo grado per abuso d'ufficio in merito alla costruzione del termovalorizzatore di Salerno, né oggi che la Procura di Roma sta indagando sulla presunta corruzione del giudice che ha emesso la sentenza contro la sospensione dalla carica di governatore prevista dalla legge Severino e che ha consentito a De Luca di restare in sella in cambio, si sospetta, della promozione ai vertici della sanità pubblica campana del marito del giudice in questione.

Se Marino non poteva non ricordare con chi, dove e quando avesse cenato mesi prima, De Luca poteva invece non sapere che il suo collaboratore più stretto, suo braccio destro da decenni, stava brigando per fargli ottenere una sentenza favorevole. Se a Marino non si poteva giustificare lo scarico di responsabilità sulla sua segreteria rea di aver firmato il falso per suo conto, a De Luca, che fa lo stesso oggi con il suo fido Mastursi, invece sì.

Non solo. Se fino a qualche settimana fa il "marziano" era universalmente considerato una brava persona, addirittura un “baluardo di legalità” secondo il suo partito, De Luca già prima delle elezioni era finito nella lista dei cosiddetti "impresentabili" stilata dalla commissione antimafia presieduta da Rosy Bindi. La quale tentò in tutti i modi di avvisare il segretario dem di chi fosse in realtà il sindaco sceriffo di Salerno. Ricevendone in cambio una bella alzata di spalle e una raffica di improperi sparati da più parti senza che nessuno, Renzi per primo, spendesse una parola in sua difesa.

Ma Enzo è quello che sa governare, Ignazio no. De Luca è quello che si vanta e a cui tanti riconoscono di aver modernizzato il Sud, di aver trasformato Salerno in un città che funziona come una capitale nord europea. Marino è riuscito invece solo a pedonalizzare male una via del centro. De Luca è potente, ha le tessere, i voti. A Marino le firme per presentarsi alle primarie del centrosinistra gliele hanno dovute procurare in fretta e furia gli altri candidati perché da solo non avrebbe racimolato nemmeno quelle del suo condominio.

De Luca controlla una regione intera. Marino nemmeno il suo staff. De Luca si scaglia verbalmente contro i giornalisti, Marino davanti ai giornalisti cadeva dalla bici e al massimo diceva che con i giornali ci incarta il pesce. De Luca fa paura, Marino ridere.

Tra i due un presidente del Consiglio che oggi tace. Lasciando che siano gli altri a balbettare che ognuno è innocente fino a prova contraria. Ma solo se si chiama Vincenzo De Luca.

A De Luca viene concesso quel beneficio del dubbio (forse è una vittima inconsapevole) che a Marino fu negato. Perché Marino si poteva mollare. De Luca no. Intanto perché i consiglieri regionali campani, tutti uomini di De Luca più che del Pd, non sono come quelli romani a cui puoi dire “dimettetivi in massa” e quelli lo fanno per davvero. E poi perché se cade adesso la Campania, e anche Napoli si aggiunge alle città dall'esito più incerto (Milano e Roma in testa), le amministrative di primavera rischiano davvero di trasformarsi in un disastro totale. A dimostrazione che il vero tallone d'Achille del premier è proprio quello di essere il segretario di un partito che ancora non riesce a controllare.

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Claudia Daconto