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Elisabetta Villa/Getty Images
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Perché lo ius soli è una misura di buon senso

Sana un'ingiustizia, una discriminazione che una destra liberale non può non comprendere. Basta guardare agli Stati Uniti d'America

L’esempio forse più significativo delle assurdità di una legge della cittadinanza che esclude(va) i nuovi italiani ce lo fornisce Mohamed Rmaily, 26 anni, animatore del gruppo “seconde generazioni”. Studia legge ed è arrivato in Italia a 3 anni (oggi ne ha 26), dal Marocco.

Si sente italiano, parla trevigiano, gli secca doversi mettere nella fila dedicata agli extracomunitari quando rientra, lui che ama viaggiare, nel “suo” Paese, l’Italia. Non è italiano pur potendo esserlo, sulla carta, semplicemente perché anche per chi ne avrebbe diritto non è facile raccogliere tutti i documenti attualmente richiesti per ottenere la carta d’identità italiana.

In particolare il certificato del casellario penale in Marocco, che certifica la sua fedina pulita. Peccato che quel certificato non potrà mai recuperarlo, perché a 2-3 anni avrebbe mai potuto compiere un reato? E perché mai il ministero della Giustizia marocchina avrebbe dovuto monitorare la fedina nei neonati?

C’è chi sostiene che concedere lo ius soli sia un modo per uccidere la nostra cultura, la nostra identità cristiana, la nostra storia. Ci sono Paesi come gli Stati Uniti che sono caratterizzati nella loro ricca e variegata identità proprio dall’apporto di nazionalità e culture diverse. Il senso di appartenenza e ossequio alla bandiera dei “nuovi americani” è perfino superiore a quello degli “autoctoni” (ma ci sono poi davvero gli “autoctoni”, nel senso dei romani che si vantano – oggi un po’ meno – d’essere romani da sette generazioni)?

Lo ius soli approvato ieri alla Camera non è neanche quello americano, puro (chi nasce negli Stati Uniti è automaticamente statunitense, anche se viene partorito su un aereo della United o se i genitori si sono pagati un viaggio a Miami o New York apposta per avere un figlio “americano”). Il nostro ius soli sarà condizionato dall’esistenza di almeno un genitore con permesso di soggiorno lungo, e nel caso dello ius “culturale” dall’essere arrivato in Italia a meno di 12 anni e aver compiuto un ciclo di studi di 5 anni. Si tratta di misure di buon senso, che sanano un’ingiustizia, anzi una discriminazione, e che riconoscono l’italianità di ragazzi, di giovani, che già si sentono e sono profondamente italiani.

Il dibattito sullo ius soli divide non solo i pro e i contro del tipo destra-sinistra, ma anche due destre possibili. Una ideologica, confessionale, legata al sangue, l’altra liberale, fondata sul libero arbitrio e sul contratto sociale. Perfino per un leghista è difficile sostenere che si debba negare la patente di italianità a uno come Mohamed Rmaily, che già ora è italiano a tutto tondo. Gli manca solo il passaporto. Giusto darglielo. E presto.   

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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