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FABIO MARCHI/AFP/Getty Images
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Perché Francia e Brasile hanno protetto Battisti (finora)

A Parigi la propaganda della "gauche caviar". A Brasilia interessi politici e strumentalizzazioni. Oggi molto è cambiato, e forse verrà estradato

Nel 2009 il ministro brasiliano della Giustizia Tarso Genro, esponente trotzkista del Partito dei lavoratori che partecipava al governo di Luiz Inácio Lula, aveva negato l’estradizione e gli aveva concesso lo status di rifugiato “per il fondato timore di una persecuzione politica”.

In quell'epoca, scrittori e intellettuali di mezzo mondo come Gabriel García Márquez, Fred Vargas, Daniel Pennac e Bernard-Henri Lévy facevano ancora appelli per lui. Persino Carla Bruni, all’epoca première dame di Francia, protestava la sua innocenza.

La protezione francese

Di certo nessuno di loro aveva nemmeno sfogliato le infinite carte processuali o le tante sentenze che condannano all’ergastolo per quattro omicidi Cesare Battisti, oggi 63 anni, definito dalle cronache come “ex terrorista”, un passato da criminale comune, ma anche giallista di fama, e assurdamente trasformatosi in icona della "gauche caviar" parigina.

È stato anche per colpa di intellettuali, scrittori e della sinistra al caviale francese, se i governi di Parigi dal 1991 al 2004 hanno negato l’estradizione del quattro volte omicida. E ancora oggi nessuno riesce bene a comprendere perché la Francia sia stata tanto affettuosa con Battisti, che un pubblico ministero serio come Armando Spataro, proprio parlando con Panorama, una volta aveva definito “un assassino puro”.

Gli ambienti parigini erano stati convinti, da una propaganda battente, che l’Italia degli anni Settanta fosse simile a una cajenna giudiziaria, dove una serie di leggi autoritarie e una magistratura da ghigliottina avevano fatto scempio dello Stato di diritto per combattere e sconfiggere il terrorismo, rosso e nero.

La conversione politica

Anche se qualche eccesso, effettivamente, in quegli anni c’era stato, questa caricatura del reale era più che evidente per quanto riguardava proprio Battisti. Di certo, non c’era stato alcun eccesso giudiziario su di lui, condannato quattro volte per omicidi volontari, violenti e spietati, e la cui intera storia esistenziale pare intrisa di cinismo opportunista, trasformismo e violenza spesso gratuita.

La stessa aura ideologica di Battisti pare usurpata. Perché in effetti l'uomo si rivela alle cronache e ai tribunali, banalmente, come ladro nel 1972 (data del suo primo arresto) e poi come rapinatore nel 1974. È un criminale comune, che subisce denunce anche per atti di libidine violenta e per violenza privata.

La sua “conversione politica” avviene in carcere, a Udine, grazie all’incontro con un terrorista vero: Arrigo Cavallina.

Ma l’impressione che gli inquirenti e i giudici hanno sempre avuto e trasmesso, negli atti giudiziari, è che l’attività eversiva condotta da Battisti all’interno dei Pac,i Proletari armati per il comunismo, fosse almeno in parte strumentale: "ufficialmente" l’uomo rapinava e uccideva in nome di un ideale politico, per quanto farneticante, ma quasi sempre nelle sue azioni traspariva lo sfogo di una violenza repressa e perfino la ricerca - molto più terrena e razionale - di un arricchimento personale. 

L'asilo politico del Brasile

Più facile da capire è perché per otto anni il Brasile di Lula e poi di Dilma Roussef abbia dato un vergognoso asilo politico, legale o di fatto, a Battisti: le mosse dei governi demagogici sono state dettate da questioni politiche, forse anche dall’idea di poterlo usare come strumento di pressione economica nei confronti dell'Italia.

Oggi invece, tanti anni dopo, il Brasile potrebbe finalmente estradare Battisti. Perché? Perché dall’agosto 2016 è mutato profondamente l’atteggiamento politico del Paese, con il nuovo presidente Michel Temer.

Tant’è vero che Battisti, con la solita capacità di interpretare opportunisticamente l'ambiente, e annusata l’aria negativa, stava già per prendere la via della fuga in Bolivia.

Dovesse essere finalmente estradato in Italia, una volta tanto, sarebbe stata fatta davvero giustizia.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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