Parolisi in Cassazione, perché i primi due processi vanno azzerati
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Parolisi in Cassazione, perché i primi due processi vanno azzerati

Tocca ai giudici della suprema corte l'ultima parola sull'omicidio di Melania Rea. Dal movente fino al mistero del telefonino che si riaccende, tutti i punti oscuri

E se Salvatore Parolisi fosse innocente? La domanda è legittima nonostante una condanna all’ergastolo in primo grado ridotta a 30 anni in appello per l’omicidio della moglie Melania Rea. Tocca alla Cassazione, ancora poche ore e sapremo se la partita è finita per sempre o va rigiocata dal principio. L’avvocato Nicodemo Gentile, difensore del caporalmaggiore dell’esercito, chiede che il processo venga riportato sui binari delle regole e definisce il suo assistito un maltrattato dalla giustizia.

I fatti

Melania Carmela Rea e Salvatore Parolisi con la bimba in una foto senza data. ANSA

Certo, i punti poco chiari in questa vicenda sono diversi. Prima di entrare nel merito, facciamo un salto indietro e ricordiamo i fatti. Melania Rea, 29 anni, scompare il giorno 18 aprile 2011, nel primo pomeriggio. Il marito Salvatore Parolisi racconta che erano andati in compagnia della figlia di 18 mesi al pianoro di colle San Marco, 600 metri di altitudine, a 10 chilometri di distanza da Ascoli Piceno, quando la moglie si è allontanata per andare in bagno e non è più tornata. Due giorni dopo Melania viene ritrovata morta assassinata con 35 coltellate dietro un chiosco nel bosco delle casermette, in località Ripe di Civitella, a 10 chilometri di distanza da colle San Marco. Si arriva al corpo grazie alla segnalazione anonima di un uomo che chiama da una cabina pubblica. Parolisi viene arrestato il 19 luglio.

Il processo

Salvatore Parolisi e Ludovica P. in una foto presa da facebook. ANSA

Salvatore Parolisi viene processato in primo grado con rito abbreviato nel marzo 2012. La procura sostiene che ha ucciso la moglie perché stretto nell’imbuto di una relazione extraconiugale con la soldatessa Ludovica. L’accusa presenta i conti. Nel periodo che va dal 2 settembre 2009 al 27 aprile 2011, i due si sono scambiati 5.935 telefonate e 4.012 sms. Sono 603 giorni, una media quotidiana di 8,9 telefonate e 6,6 messaggini. Per i magistrati è la certificazione di una “stabile relazione sentimentale in corso”.

Sotto la pressione dell'amante, Parolisi uccide la moglie perché ha paura di dover passare gli alimenti in caso di separazione, e soprattutto perché teme che Melania possa spifferare le tresche dentro la caserma, finendo per mettere in pericolo la sua carriera e il suo lavoro. Quanto alla dinamica, la procura sostiene che il giorno della sparizione Parolisi e la moglie non sono andati a colle san Marco, e che la storiella delle altalene e della moglie che si allontana per andare in bagno è solo una messinscena del marito assassino.


Il movente segreto del giudice

Il processo si conclude il 26 ottobre 2012. Salvatore Parolisi è condannato all’ergastolo, interdizione dai pubblici uffici, perdita della patria potestà, pagamento della provvisionale di un milione di euro per la figlia Vittoria e di 500 mila per i genitori di Melania. Il leggero stupore per la pesantezza della pena diventa incredulità al momento della lettura delle motivazioni. Il giudice Marina Tommolini ha visto un altro film rispetto a quello andato in onda al processo: Parolisi ha ucciso la moglie perché lei quel giorno gli ha rifiutato un rapporto sessuale. Secondo il giudice, l’omicidio è “maturato nell’enorme frustrazione vissuta da Salvatore Parolisi nell’ambito di un rapporto divenuto impari per la figura ormai dominante di Melania”.

La sconfessione dell'accusa

Quanto alla dinamica, incredibile ma vero, il giudice sconfessa la procura e accoglie quella proposta dalla difesa. Il soldato e la moglie, scrive Tommolini, vanno a colle San Marco per far giocare Vittoria alle altalene, poi Melania propone al marito di andare al bosco delle casermette per vedere i luoghi dove Salvatore si addestrava. Qui arrivano verso le 15,05. La bambina dorme in auto, a Melania scappa la pipì. Scende e va dietro il chiosco di legno, poco distante. Salvatore la vede, salta giù dalla macchina, lascia la bambina da sola, si avvicina alla moglie, la bacia, vuole fare sesso con lei. Melania rifiuta, urla, non vuole, lui reagisce e la colpisce con una coltellata, poi un’altra, un’altra ancora, fino a che la lascia a terra agonizzante. A questo punto si toglie i vestiti e resta in calzoncini corti, fa squillare il cellulare della moglie giusto per capire dove si trova l’apparecchio, sale in auto a torna a colle San Marco per inventare la storia della scomparsa e crearsi un alibi.

La prova fuori dal dibattimento

In dibattimento si è parlato d’altro, in dibattimento dovrebbe formarsi la prova secondo il diritto processuale penale, ma Tommolini non ha dubbi: i fatti sono andati così. Ci si chiede come abbia saputo che Parolisi quel giorno vuole fare sesso mentre Melania lo rifiuta. È vero che non è venuto meno il principio di terzietà del giudice, che gli impone di stare al di sopra delle parti, ma non deve essere stato facile per la difesa di Salvatore Parolisi: contrasti l’accusa di aver ucciso la moglie perché vuole fuggire con l’amante, cerchi di argomentare e dimostrare che le cose sono andate in maniera diversa, poi ti ritrovi con il giudice che aveva in testa un movente suo e l’ha tenuto ben custodito nella mente fino al momento del deposito delle motivazioni della sentenza.

L'appello

Si va in secondo grado. Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila. Parolisi chiede che l’udienza sia aperta al pubblico. Niente, richiesta respinta, processo a porte chiuse e condanna ridotta a 30 anni. Al riparo da occhi indiscreti, i giudici mettono le pezze ai buchi del primo grado. Parolisi ha ucciso la moglie perché ha scelto di stare con la sua ex allieva e amante, che lo pressava nella scelta. E per il timore dello scandalo dentro la caserma che ne avrebbe compromesso la carriera militare.


Un piede in due scarpe

Non la pensava allo stesso modo il giudice del tribunale di Teramo, che si era pronunciato al momento della convalida dell’ordinanza d’arresto: Parolisi è un mentitore seriale, un uomo capace di tenere un piede in due scarpe. Ha l’amante da anni, la sa gestire. In effetti, se si va a guardare dal buco della serratura, quello tra Salvatore Parolisi e Ludovica è un amore clandestino talmente forte e malato da portarlo a uccidere la moglie, ma allo stesso tempo da riuscire a starle lontano per molto tempo. Melania scompare il 18 aprile, Parolisi ha visto l’amante l’ultima volta a gennaio: tre ore in auto dopo che non si vedevano da più di un mese. Inoltre, la moglie Melania aveva già scoperto la tresca circa un anno prima, ma lui non le aveva torto un capello e il loro matrimonio era rimasto in piedi.

Chi si aggira attorno al cadavere di Melania?

C’è poi il mistero della telefonata anonima, che arriva alla polizia alle 16,34 del 20 aprile: l’uomo indica il corpo senza vita al bosco delle casermette, riattacca e non si farà mai vivo nonostante i ripetuti appelli delle forze dell’ordine. Perché? Per paura di finire nel tritacarne dei giornali e delle televisioni? O perché forse ha qualcosa da nascondere? Melania è sparita due giorni prima, quando il suo cellulare ha squillato a vuoto per poi spegnersi, come se si fosse esaurita la batteria. Ma il 20 aprile, durante le prime ore del mattino, per esattezza alle 7,39, il telefonino di Melania riprende vita e riceve tutti i messaggini che le sono stati spediti nelle ore precedenti.

Come è possibile? Il perito del pubblico ministero al processo certifica: l’unica spiegazione è che il telefonino sia stato "riacceso da un utilizzatore". In sostanza, all’alba di quel giorno qualcuno si aggira intorno al corpo senza vita di Melania Rea, accende il telefono e, guarda caso, non lascia impronte. Circostanza che porta a pensare a una figura diversa dal passante incuriosito che poi scappa in preda al panico. Chi era questa persona? La stessa che nel pomeriggio telefona da una cabina pubblica? Se sì, perché aspetta nove ore prima di avvisare le forze dell’ordine?

Il vilipendio

È forse la stessa persona che infierisce sul cadavere di Melania con un'arma appuntita per ricoprirla di segni che sembrano croci e svastiche? Anche questo aspetto merita un approfondimento, visto che non è secondario e che su questo punto la confusione ha regnato sovrana durante tutto il processo. In primo grado, la procura sostiene che il vilipendio del cadavere sia stato fatto il 19 aprile, il giorno dopo la sparizione, proprio da Salvatore Parolisi, che sarebbe tornato sul luogo del delitto per depistare le indagini. La difesa, attraverso testimonianze, celle telefoniche e riscontri oggettivi, dimostra che Parolisi quella mattina non poteva trovarsi alle casermette. Il giudice Tommolini taglia la testa al toro: il vilipendio è stato fatto la mattina del 20. Altra toppa sulla quale devono intervenire i giudici di secondo grado, i quali nella sentenza scrivono: il vilipendio può essere stato fatto il 19 come il 20. Peccato che non sia un particolare di poco conto, visto che nelle motivazioni si dice che soltanto l’assassino può aver fatto il vilipendio.

Ultima fermata in Cassazione

Si va in Cassazione adesso, con l’ultima disperata carta giocata dalla difesa: una impronta di scarpa vicino al cadavere di Melania di misura inferiore rispetto a quella calzata da Parolisi. Del quale, va sottolineato, non esiste alcun segno di presenza sul luogo del delitto, se non una traccia di Dna ricavata dalla bocca di Melania, della quale i periti non hanno stabilito con certezza la natura e il momento del rilascio.

E se Parolisi fosse innocente?

E se Parolisi fosse innocente? La domanda è legittima. Se fosse innocente sarebbe un uomo che da circa quattro anni vive dentro il peggior incubo: la moglie ammazzata, la figlia strappata a forza dalle braccia, il risveglio dentro la cella di un carcere.


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Carmelo Abbate