Le due facce della Nigeria, tra terrorismo e miliardi
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Le due facce della Nigeria, tra terrorismo e miliardi

Il Paese ha spodestato il Sudafrica diventando la prima economia del continente africano, ma l'incubo dei jihadisti Boko Haram potrebbe fare a pezzi il sogno nigeriano

"Abbiamo perso molte vite. Il problema dei Boko Haram è un capitolo molto brutto di questo nostro periodo di sviluppo, ma vi prometto che è solo temporaneo e lo risolveremo al più presto". Il presidente della Nigeria Jonathan Goodluck ha confermato il pugno di ferro contro i terroristi, che solo nel 2014 hanno fatto più di 1.500 vittime. Ma Goodluck non parlava unicamente al suo popolo, perché quello che adesso preme al capo dello Stato nigeriano è piuttosto di rasserenare gli investitori esteri. La Nigeria non è solo il Paese dei "terroristi", ma è l'economia più ricca (e al galoppo sfrenato) del continente africano.

Nigeria, terra di violenze e di miliardi. I terroristi di Boko Haram hanno messo a segno l'ennesimo attentato nella stazione degli autobus della capitale Abuja, in un quartiere popolato da cristiani e musulmani. Si parla di più di settanta morti e, a seguire, sono "sparite" più di 100 studentesse  della scuola di Chibok, nel nord del Paese. La polizia sospetta che i responsabili siano proprio i fondamentalisti islamici affiliati all'organizzazione terroristica nata nel 2002, che mira a imporre la sharia (la legge coranica) nel Paese. 

Ma la Nigeria non ha solo il volto del terrore. Proprio poche ore prima dell'attentato di Abuja i principali quotidiani economici del mondo battevano la notizia che la Nigeria ha superato il Sudafrica nella lunga corsa del Pil. Nel 2014 quello nigeriano sarà di 510 miliardi di dollari, il che fa della Nigeria la prima economia africana, con tanto di inserimento nel nuovo club  dei MINT (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia), battezzato dall'economista Jim O'Neill, lo stesso che nel 2001 aveva portato alla ribalta delle cronache economiche mondiali i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina).

Se, da una parte, il presidente Goodluck vuole porre fine alla piaga endemica del terrorismo, dall'altra l'intero governo nigeriano sta premendo per avere accesso al G20 (spodestando lo stesso Sudafrica) e per attrarre nuovi investimenti dall'estero. Un dato su tutti: il "nero" più ricco del mondo è nato a Lagos e si chiama Aliko Dangote. Secondo la rivista Forbes può contare su un patrimonio personale di circa 25 miliardi di dollari ed è al momento il 24esimo uomo più ricco del pianeta. Una cosa che ad Abuja è stata accolta come manna dal cielo.

Aliko Dangote è il proprietario della terza più grande raffineria di canna da zucchero del pianeta. Produce farina, riso e addirittura pasta e noodles, che vende sul mercato africano. Il suo sport preferito negli ultimi dieci anni è stato di aprire fabbriche in tutto il Continente, adoperando manodopera locale. E - si sa - l'Africa oltre a essere la frontiera degli investimenti economici del prossimo futuro, rappresenta anche una miniera d'oro di forza lavoro, con previsioni di aumento demografico che fanno rabbrividire l'Occidente, messo al palo da una natalità che sfiora lo zero.

Il gruppo Dangote spazia anche nel settore petrolchimico e in quello dei fertilizzanti e il magnate punta a buttarsi sul mercato dell'energia e del petrolio, l'oro nero di cui la Nigeria è ricca. Insomma, se da una parte Abuja trema di fronte al sangue dei terroristi, dall'altra la qualità di vita della popolazione è in netto miglioramento, anche se la povertà continua ad essere una piaga e, nonostante un reddito medio pro capite di circa 2.600 dollari, la maggior parte dei 168 milioni di nigeriani ha difficoltà nel fare un pasto al giorno.

Ma il Pil cresce, anzi galoppa e il governo di Abuja ha tutta l'intenzione di prendere l'intera Africa in mano, traghettando il Continente verso l'orizzonte di un nuovo benessere economico. Ma con i terroristi in casa e con una serie di altre criticità sul tavolo (dalla mancanza di infrastrutture al divario esistente tra ricchi e poveri), la sfida della Nigeria risulta essere ancora più evidente. Per entrare nel club dei MINT sono "bastati" i miliardi di dollari prodotti negli ultimi cinque anni, ma per restarci e guidare l'Africa il cammino è ancora lungo. Il Sudafrica (spodestato) insegna. 

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Anna Mazzone