E se Napolitano non ce la dovesse fare?
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E se Napolitano non ce la dovesse fare?

Tutto è nelle mani del Presidente della Repubblica, altrimenti sarebbe il caos

Fa male dirlo, ma l’Italia, purtroppo, non è quella immaginata da Giorgio Napolitano nel suo storico discorso d’insediamento per il secondo mandato di presidente della Repubblica. C’è oggi un’Italia che non vuole dialogare, che non cerca la mediazione, che non sa mettere da parte gli estremismi, gli egoismi, che persegue il solo obiettivo di distruggere l’avversario con qualsiasi mezzo. È un’Italia retrograda, misera, piccina, prigioniera dell’odio. Non è maggioritaria, grazie a Dio, ma la sua natura violenta (anche la parola può essere violenta, eccome) ha la forza di ricattare e spaventare anche chi vorrebbe resistere.

Questa Italia minoritaria ma chiassosa è quella che si ritrova intorno a Beppe Grillo (però è anche quella che l’ha corteggiato e quella che in fondo nel grillismo riconosce le sue radici e la sua politica) e che già da oggi non è numericamente consistente quanto quella che votò il Movimento 5 stelle a fine febbraio. I grillini hanno perso parecchi consensi; le regionali in Friuli Venezia Giulia, prima prova dopo il voto nazionale in cui l’ex comico si è speso in prima persona, hanno addirittura certificato un dimezzamento in meno di due mesi.

Quella di Grillo con l’Italia, d’altronde, si è rivelata una luna di fiele: i suoi «cittadini» di Camera e Senato hanno prodotto il nulla inseguendo il mito della democrazia partecipata; un mito che li ha miracolosamente portati in Parlamento ma, al tempo stesso, ne ha messo a nudo la totale inconsistenza. Sapete dove si sono ritrovati, gli onorevoli «cittadini», subito dopo il discorso di Napolitano? In un ridicolo tribunale del popolo, montato in fretta e furia per processare e condannare in diretta web un loro collega colpevole, poveraccio, di essere andato in tv ospite di Barbara D’Urso. Era questa, per il nuovo che avanza, la più impellente necessità dell’Italia. È questa la terrificante «democrazia» che questi neorivoluzionari tentano di contrabbandare in questo nostro Paese sfibrato da una crisi economica senza precedenti. Volete un altro esempio?

Le mitiche «quirinarie», indette dalla premiata ditta Grillo & Casaleggio per dare al movimento l’illusione che si potesse eleggere direttamente il capo dello Stato, sono state l’ennesima, enorme pagliacciata. Prendiamo per buone le verità di Grillo: avevano diritto di voto circa 50 mila persone (chi sono? Boh), lo hanno fatto meno di 30 mila. E già questo dato suona come una sonora bocciatura del metodo. Poi ci sono i voti (4.677) andati a Stefano Rodotà che, messi tutti insieme, potrebbero essere con- tenuti in un teatro, in un capannone, in una chiesa. Ma che i maghi della mistificazione hanno poi spacciato per popolo sovrano. L’Italia «vuole Rodotà», gridavano in quella indecente gazzarra organizzata fuori dal Parlamento che ha inseguito e linciato verbalmente i parlamentari di sinistra e destra colpevoli di non essersi inchinati al verbo presunto della rete.

C’è ovviamente chi si è subito adeguato, come l’inaffidabile Nichi Vendola, lesto a tradire il Pd e a consegnarsi con i suoi parlamentari ai grillini. Il governatore della Puglia si è dimostrato un uomo senza onore: alla prima occasione ha strappato il patto sottoscritto con Pier Luigi Bersani, ha ucciso l’alleanza con il centrosinistra e ha ovviamente voltato le spalle al suo elettorato, quello che lo aveva votato in forza di quel patto. Pugnalato da Vendola e soprattutto dai suoi stessi compagni, il segretario del Pd si è così ritrovato solo e perdente. È a questa colonna di badogliani che si è rivolto Giorgio Napolitano nel suo drammatico discorso di lunedì 22 aprile, affinché ritrovassero la dignità del mandato e ponessero l’interesse del Paese sopra ogni altra miseria.

A quelli che pure hanno applaudito le sue parole e si sono alzati in piedi per meglio sottolineare il proprio consenso. Sì, gli stessi che un’ora dopo dettavano alle agenzie di stampa i loro distinguo sulle alleanze, rilasciavano interviste per i quotidiani dell’indomani per alzare paletti di ogni tipo, e twittavano freneticamente allo scopo di mettere subito a verbale il loro schifo per ogni forma di «inciucio». Sono quelli che oggi bollano come inciucio qualunque forma di accordo con l’avversario, gli stessi che avrebbero bollato come inciucio anche l’accordo che Nelson Mandela ha siglato con i bianchi che lo hanno tenuto per una vita in prigione.

Uno spettacolo pietoso, quasi un ultimo indecoroso ballo sul Titanic. Di fronte al quale appare più che legittimo il dubbio che la ritrovata responsabilità della sinistra nel nome di Napolitano sia soltanto di facciata e non destinata a resistere nel tempo. Certo, il governo proposto dal Quirinale avrà la fiducia, soprattutto perché si tratta di un voto palese e i traditori non possono vigliaccamente nascondersi come avvenuto per le votazioni del Quirinale. Ma poi? Immaginate quando il trattamento riservato a Dario Franceschini o a Stefano Fassina (il primo aggredito al ristorante, il secondo quasi linciato dalla piazza) sarà applicato ai singoli parlamentari del Partito democratico: quanti di loro resisteranno agli insulti, quanti di loro sopporteranno il peso di essere isolati e additati dagli avanguardisti del Fatto quotidiano o della Repubblica come luridi servi inciucioni? Chi nel Pd, oggi, è in grado di garantire i numeri per far vivere e applicare il programma di un governo, di un qualsiasi governo? Nessuno, purtroppo. Questo Pd è veramente inaffidabile, un giorno si ritrova nelle mani dei giustizialisti, il giorno dopo nelle mani dei populisti. Basta una piazza o una piazzetta per fargli cambiare subito idea.

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Giorgio Mulè