Chi dopo Napolitano? Riparte la corsa al Quirinale
ANSA/ UFFICIO PER LA STAMPA E LA COMUNICAZIONE DELLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA/ PAOLO GIANDOTTI
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Chi dopo Napolitano? Riparte la corsa al Quirinale

Il festeggiamento al Senato del "vecchio amico" Emanuele Macaluso, riaccende i riflettori sulla successione al Colle. Napolitano dovrebbe lasciare tra sei mesi, già partita la girandola dei nomi (Fassino, Prodi, D'Alema, Veltroni)

Da un lato Emanuele Macaluso, l’uomo che visse due secoli, dall’altro Giorgio Napolitano, l’unico presidente che visse due mandati nella storia repubblicana. Uno a pochi metri dall’altro, come a raffigurare un giro di boa che si compie per entrambi. La celebrazione dei 90 anni di Macaluso, al Senato, dove il capo dello Stato ha voluto esserci per portare gli auguri al suo «vecchio amico», ha di fatto riacceso l’attenzione sulla corsa già in atto per la successione al Colle.

Non smentito, come era ovvio, Macaluso nei giorni scorsi in un’intervista a «Il Corriere della sera» aveva già lanciato la previsione secondo la quale Napolitano lascerà dopo l’approvazione della riforma delle legge elettorale. Del resto, il presidente della Repubblica aveva già fatto trapelare questa ipotesi nel discorso del 31 dicembre 2013 quando auspicò la realizzazione di «una parte almeno incisiva delle riforme». In ogni caso, Napolitano su un punto sarebbe irremovibile e cioè sul fatto che non sarà lui il presidente che scioglie le Camere e che se ha accettato il sacrificio del secondo mandato è stato solo per accompagnare il percorso delle riforme, a cominciare da quella elettorale. Non solo. Fa notare sotto anonimato un parlamentare: «Di fatto non è più “Re Giorgio”. Con il governo di Matteo Renzi la musica è cambiata, il nuovo premier ha sempre sottolineato che il suo è un governo politico, quindi senza essere più sottoposto a un “padronato” da parte del Colle, come era per il governo di Enrico Letta». Prevede: «A questo punto, Napolitano potrebbe lasciare già in autunno e sarà certamente questo parlamento a eleggere il suo successore». La corsa al Colle è già partita. I vari aspiranti si muovono. Dunque, tutto a posto per Renzi, che non avrebbe mai molto amato Napolitano? Niente affatto.

«Sarà Renzi ora – spiega sempre l’anonima fonte che conosce bene il Pd e le sue mille correnti – a dover fare i conti sempre con il permanente pericolo della carica dei 101, che affossò la candidatura di Romano Prodi, o se vogliano dei 101 alla rovescia che per poco non hanno fatto saltare l’Italicum e lo stesso Renzi, salvato sulla riforma elettorale alla Camera da Forza Italia».

L’elezione del nuovo capo dello Stato rischia di essere in balia di un gruppo parlamentare che Renzi, come gli incidenti in aula hanno dimostrato, non controlla. Un gruppo che è tutto un ribollire di rancori e di sogni di rivincita. Ecco perché tra i papabili per il Colle sta anche circolando il nome di Piero Fassino, un nome che potrebbe garantire una maggiore unità rispetto a quello di Romano Prodi che al momento viene ritenuto tramontato o anche rispetto a quello di Walter Veltroni, seppur il suo nome sia gettonatissimo ed è tornato alla ribalta in questi giorni con la presentazione del suo film su Enrico Berlinguer. Ma se Renzi vuol completare il processo di riforme deve tener conto anche del centrodestra, dove il nome che raccoglie più consensi continua ad essere quello di Massimo D’Alema. Solo che D’Alema viene già dato in corsa per un incarico europeo, come ha lasciato capire lo stesso Renzi alla presentazione del nuovo libro dell’ex premier. E poi il premier difficilmente vorrebbe un capo dello Stato che a quel punto gli si sovrapporrebbe nel dialogo con l’opposizione e in particolare con Silvio Berlusconi.

Ma c’è già chi prevede che alla fine nessuno di questi personaggi salirà sul colle più alto e che Renzi estragga dal cilindro qualche altro nome, come ad esempio un senatore a vita (Renzo Piano che non smette mai di elogiare?) che non scateni nessuna carica dei 101. Ovvero l’immagine plastica di una sinistra che non ha ancora trovato la sua vera identità. Nessun personaggio della nouvelle vague renziana era presente ai 90 anni di Macaluso in Senato.

Il governo era rappresentato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e dal viceministro all’Economia Enrico Morando, però entrambi ex miglioristi del Pci e amici di lunga data di «Em. Ma», la celebre sigla con la quale il festeggiato sigla i suoi arguti corsivi. C’era però Enrico Letta. È stata per l’ex premier forse la prima apparizione ad un evento dopo la traumatica defenestrazione da Palazzo Chigi. Eppure, Macaluso, coscienza critica della sinistra, con i suoi 90 anni, è apparso molto più lucido e fresco di tanti giovani e potenti renziani. Soprattutto sul riconoscimento di un fatto: Il Pd non è ancora un partito socialdemocratico. Ripercorrendo la storia della sinistra dal Pci in poi, l’ex leader dei miglioristi, la minoranza comunista fautrice dell’unità socialista, ha ammesso: «Di questa contraddizione la mia generazione porta una responsabilità».           

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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