Mortalità sul lavoro. Il 2025 inizia col piede sbagliato
A due settimane dall’inizio del 2025 siamo già a fare la conta dei casi di decesso e di infortuni sui luoghi di lavoro. Ciò non fa presagire nulla di buono fino alla fine dell’anno
Siamo ancora a gennaio e già le cronache parlano di incidenti e morti sul lavoro. Tra le prime vittime vi sono Francesco Stella, un operaio di Lamezia terme deceduto dopo essere precipitato da un’impalcatura di circa 6 metri. Oppure Carmelo Longhitano di 51 anni, caduto dal tetto di una carrozzeria di Trescore Cremasco, conseguentemente al cedimento di un pannello sul quale l’uomo si era posizionato per effettuare delle riparazioni.
Questi sono solo due dei casi di decesso che si sono già verificati dall’inizio dell’anno. È una piaga che in Italia conta moltissime vittime. Si stima che nell’appena trascorso 2024 i decessi dovuti all’esercizio di un’attività lavorativa siano stati più di mille, con un incremento del 3,3% rispetto al 2023.
Di sicuro fra qualche mese, quando saremo già arrivati a centinaia di vittime (previsione abbastanza triste ma perfettamente in linea con gli anni passati), assisteremo ai soliti proseliti di politici ed esponenti delle varie sigle sindacali, con il solito mantra del dover adottare al più presto misure volte a porre un freno a questo annoso problema.
Dalla patente a punti per le imprese agli eventi di sensibilizzazione sul tema, sono tante le proposte fatte nel corso degli anni per arginare questa situazione. Certo, sono misure che potrebbero avere, in modi diversi, effetti positivi.
Ma alla base di tutto è necessario che ci siano dei controlli, perché in mancanza di questi la violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è un fenomeno che fisiologicamente avviene con maggior frequenza. Ovviamente è necessario che ci siano anche le condizioni necessarie per poter garantire un adeguato svolgimento delle verifiche, sul quale poche volte si pone l’attenzione.
È evidente che predisporre maggiori controlli comporterebbe un incremento di spesa pubblica, dovuta al maggior numero di operatori impiegati nell’esecuzione dei medesimi. Ma se ciò dovesse comportare una maggiore attenzione sul rispetto delle regole e di conseguenza un’incidenza positiva sulla diminuzione del numero delle morti bianche, il gioco varrebbe la candela.
Considerando che gli infortuni sul lavoro hanno un’incidenza che varia dal 3% al 6% del PIL, una riduzione degli incidenti comporterebbe anche una minore spesa per il Servizio Sanitario Nazionale e dunque un beneficio per le casse dello stato.
Secondo le ultime rilevazioni effettuate da Eurostat, l’Italia si piazza al decimo posto nella classifica dei casi di mortalità dovuti a incidenti sul posto di lavoro. Una posizione evidentemente non edificante considerando che la Costituzione italiana individua il lavoro come base sulla quale si fonda la Repubblica.
Tuttavia non bisogna cadere nell’errore di considerare responsabili degli incidenti sui posti di lavoro solo i datori lavoro. Infatti molte volte le misure di sicurezza ci sono, ma non vengono rispettate dai dipendenti.
In questi casi le responsabilità andrebbero attribuite anche e soprattutto ai lavoratori, nel momento in cui si verifica una sottovalutazione dei rischi legati all’esercizio di determinate attività professionali; si pensi al mancato utilizzo dei dispositivi di sicurezza come caschi o cinghie di ancoraggio, o anche al mancato utilizzo delle cinture di sicurezza in quei casi di morte dovuta a incidente stradale mentre la persona si stava recando sul posto di lavoro.
È evidente che il rischio zero non esiste e che, anche se venissero rispettate tutte le misure di sicurezza, si verificherebbero comunque degli incidenti sul lavoro. Ma ciò non deve scoraggiarci nel cercare di adottare tutte le misure e le precauzioni per ridurre la mortalità sui luoghi di lavoro.