Moby Prince: dopo 24 anni ancora nessun colpevole
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Moby Prince: dopo 24 anni ancora nessun colpevole

Il più grave incidente della marineria italiana nel quale hanno perso la vita 140 persone è ancora avvolto nel mistero. Tra depistaggi e silenzi

Dopo quasi un quarto di secolo le 140 vittime del Moby Prince non hanno ancora avuto giustizia.
Dal quel 10 aprile 1991 sono trascorsi 24 anni e sono ancora troppi i silenzi e i misteri sull’atroce fine del traghetto della flotta Onorato e dei suoi 140 passeggeri che in quella serata di primavera dopo la collisione con la petroliera Agip Abruzzo nel porto di Livorno, bruciò completamente. Nel rogo morì tutto l’equipaggio e tutti i passeggeri diretti in Sardegna ad eccezione di un mozzo, Bertrand.

Ma in tutti questi anni e nei numerosi tentativi di cercare la verità, le indagini si sono snodate tra dichiarazioni false, carichi di armi, movimenti di militari troppo vicini al luogo dell'incidente, omissioni e documenti misteriosamente scomparsi.

Che cosa abbia saputo Giulio Andreotti della tragedia della Moby Prince avvenuta nel porto di Livorno, nessuno è riuscito ad accertarlo. Nessuna inchiesta, neppure l’ultima del 2007, è riuscita a fare chiarezza su che cosa accadde quella notte e soprattutto che cosa fu riferito all'allora Presidente del Consiglio. Non portò a nulla di fatto, infatti, l’interrogatorio che gli fece a Roma il 3 luglio 2007, il procuratore Antonio Giaconi e nel quale il senatore a vita ribadì di “non ricordare molto di quella vicenda”. Una dichiarazione che mise nuovamente per iscritto in un memoriale che inviò alla procura di Livorno qualche settimana dopo l’interrogatorio. E che ribadì anche a Panorama.it con la frase: “non ricordo e non ho elementi per poter interloquire”.

L’incontro con Giulio Andreotti che sembrava determinante, in realtà non aggiunse niente di nuovo all’inchiesta che, proprio come quelle che l’avevano preceduta, si “accartocciò” su se stessa. Infatti, tre anni più tardi, nel 2010, venne archiviata. Anche Francesco Cossiga, all’epoca Presidente della Repubblica, ci dichiarò nel 2007 che aveva scoperto solo dopo 16 anni la presenza sotto allo scafo in fiamme del Moby di una pilotina fantasma e di “non ricordare niente di quella storia”.

L'Italia è un Paese dove ormai la cronaca si confonde con la storia e quest'ultima continua, per decenni, a rimanere cronaca. E il caso del Moby Prince è uno di questi.

Lo Stato sembra essersi dimenticato di questa tragedia: nessuno ne ha mai voluto parlare, nessuno ha mai voluto cercare verità e giustizia. L'unica novità dell’inchiesta chiusa nel 2010 e nella quale fu sentito anche Giulio Andreotti fu scoperta e scritta da noi:la presenza al fianco del Moby Prince di una pilotina fantasma.

Mentre il traghetto stava bruciando e i 140 passeggeri erano ancora tutti vivi, una imbarcazione lunga circa 7 metri di colore nero con tre persone a bordo era sotto lo scafo della nave della flotta Onorato.

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Ecco che cosa accadde secondo il nostro informatore.Non furono gli ormeggiatori a raggiungere per primi il Moby Prince in fiamme, come si era sempre pensato. Quando dopo due ore circa dalla collisione con la petroliera Agip Abruzzo i soccorsi si avvicinarono finalmente al traghetto che era ormai in fiamme alla deriva nella rada del porto di Livorno, c’era già una pilotina nera, di circa sette metri, con tre persone a bordo. Era ferma, con il motore spento, al centro del lato sinistro della nave. I tre uomini, due di circa quarantacinque anni e uno molto più giovane al timone, stavano osservando lo scafo mentre bruciava”.

Quando i soccorritori ovvero un'imbarcazione degli ormeggiatori del porto, un rimorchiatore della ditta Fratelli Neri e una motovedetta della Guardia di Finanza, finalmente si avvicinarono al traghetto, videro la pilotina e tentarono di parlare con gli occupanti per sapere se avessero avvisato la capitaneria o visto superstiti.

Ma questi accesero i motori e senza parlare, si spostarono di alcuni metri avvicinandosi ancora di più alla Moby Prince, prima di sparire nel nulla”, precisò l’informatore.

Da quanto tempo la pilotina si trovava sotto al Moby Prince in fiamme? Che cosa ci faceva? Chi erano i suoi occupanti? Perché non hanno chiamato i soccorsi? Che ruolo possono aver avuto quei tre personaggi nel ritardare i soccorsi? A tutte queste domande, in tre anni di indagini, la magistratura non è stata in grado di dare una risposta.

L’unica cosa che la Procura è riuscita ad accertare con chiarezza è che la fonte di Panorama.it scoperta dopo 16 anni dalla tragedia, era affidabile e le dichiarazioni tutte vere. Così come quelle informazioni che Panorama.it pubblicò, dopo avere visionato dei documenti, sulle movimentazioni ufficiali di armi. Documenti “spuntati fuori” dopo 16 lunghissimi anni.

Quella sera del 10 aprile 1991, c’erano molte navi alla fonda nel porto livornese: bettoline che facevano rifornimento, imbarcazioni ufficialmente in riparazione (ma che lasciarono immediatamente ed inspiegabilmente il porto subito dopo la collisione) barche di pescatori e navi militari americane cariche di armi provenienti dal Golfo Persico dove si era appena conclusa l’operazione Desert Storm.

Infatti anche quel giorno furono movimentati armamenti bellici. L’ultimo carico proveniente dalla base Usa, effettuato sulla motonave Cape Flattery, era avvenuto alle 15.30 circa. Il materiale bellico attraversò il canale dei Navicelli fino all’imboccatura nord del porto, davanti a Calambrone, dove era alla fonda la nave americana, sulle chiatte n° dsll540787 e la n° dsll540862. Erano trainate dai rimorchiatori Garelli e Cadetto della ditta Fratelli Neri.

Altri carichi erano stati effettuati alcuni giorni prima, il 6 aprile, sempre a bordo della motonave Flattery (le chiatte n°PL-I-0595 e n°dsll 533980)e altre movimentazioni, riguardarono anche la Cape Farewell (in uno dei documenti che fu visionato da Panorama.it è riportato il nome, probabilmente errato Cape Rarawell) ormeggiata alla Darsena Toscana, un altro approdo nel porto di Livorno.

L’ultimo carico di armi iniziato alle 7 del mattino del 10 aprile 1991 era terminato nel primo pomeriggio. Dalle 15.30 al momento della collisione, ovvero le 22 e 27 minuti, nelle acque del porto non avrebbero dovuto esserci ufficialmente altre armi in circolazione.

Per questo, sarebbe stata fondamentale la testimonianza di Andreotti oppure di Francesco Cossiga che però mainessun magistrato ha neppure contattato. Perché? Considerando i trascorsi dell’ex Presidente Cossiga e i suoi rapporti stretti con l’intelligence, forse una sua testimonianza sarebbe stata fondamentale per cercare di districare questo mistero.

Ma a proposito di Camp Darby c’è un altro punto oscuro mai approfondito in 24 anni: nessun magistrato ha mai interrogato il comandante di un piccolo gruppo di carabinieri, in forza all’interno della base militare americana. L’Arma dei carabinieri, alla quale è stata affidata l’ultima inchiesta, ha infatti all’interno della base Usa una piccola caserma. Forse, quel comandante, oggi in pensione, ma anche i suoi militari, potevano e possono ancor oggi essere a conoscenza di che cosa è accaduto quella notte.

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Nadia Francalacci