Matteo Salvini : "Ora l'Europa, poi Milano"
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Matteo Salvini : "Ora l'Europa, poi Milano"

Ritratto del segretario della Lega Nord alle prese con la campagna "Basta Euro!" e che sogna di diventare il sindaco della sua città

"Possiamo risentirci più tardi? Adesso ho una riunione, poi sono a La7 fino alle 13.30. Alle 14 ho un’altra radio. Richiamami su questo numero alle 13.35: va bene?". Cercare di parlare con Matteo Salvini è sempre stato così: un incastro tra una comparsata tv, un turno a Radio Padania, una riunione di partito e un volantinaggio al mercato. Il fatto che da 4 mesi sia il segretario della Lega Nord non ha cambiato nulla (tranne il fatto di essere passato dalla poltrona di Iceberg su Telelombardia a quella di Porta a Porta e di avere accumulato il quarto diverso numero di cellulare).

Salvini, anzi «Matteo» perché il tu con lui è un obbligo, è sempre stato un politico da battaglia: sempre in campagna elettorale, sempre per strada, tra uno slogan e l’altro. L’ultimo alla manifestazione contro l’arresto degli indipendentisti veneti: «O qualcuno li libera, in fretta, chiedendo scusa, oppure li tiriamo fuori noi in qualche modo».

Dica lei in quale modo, Salvini. «Prima» risponde «aspettiamo i prossimi passi del tribunale. Spero nella scarcerazione: la concessione dei domiciliari sarebbe

la soluzione più normale in un Paese normale. Anche perché l’unico elemento contro queste persone è la ruspa blindata. Comunque, se escono bene: altrimenti qualcosa faremo». Pensate a un assalto con un nuovo blindato? «Certo» ride Salvini «vogliamo costruire un altro tanko: stiamo solo cercando il trattore giusto... A parte gli scherzi, speriamo prevalga il buon senso».

Milanista sfegatato, Salvini è padre di due bambini, un maschio di 11 anni (avuto dalla ex moglie) che ormai è più alto di lui, e una bambina di quasi 2 anni (con l’attuale compagna), cui deve concedere la serata a base di Peppa Pig, come un genitore qualunque. «Sono un papà da 8 in pagella» ammette «ma sono generoso con me stesso. Cerco di esserci sempre, nei limiti del possibile. Ma li vedo crescere sereni, e questo significa che non sono proprio male, no?».

Di sicuro però la maggior parte del suo tempo Salvini la passa in strada. C’è quella da fare in macchina (più che un’automobile, da sempre un gazebo am- bulante con i sedili occupati da volantini, gadget, tavolini smontabili e l’immancabile camicia di ricambio con cravatta verde Padania) e quella che va battuta palmo a palmo a caccia di voti o, come in questo periodo di referendum, a caccia di una firma.

«Sono fiducioso» dice lui «ce la fare- mo. Dei cinque quesiti che proponiamo, i più popolari sono l’abolizione della legge Fornero e l’abolizione della legge Merlin. L’ex ministro Elsa Fornero e la sua legge sono odiatissime, in ogni parte d’Italia. Il referendum per riaprire le case chiuse è il più sentito, anche perché potrebbe farci incassare 4 miliardi di tasse l’anno. Con quei soldi potremmo regalare l’asilo nido a tutti, per 4 anni».

Dottore mancato (per 5 esami) in storia, giornalista professionista con una tesina su Radio Padania di cui è stato direttore, Salvini non viene certo ricordato per stile e cura del look. Se Sergio Marchionne indossa il maglione, lui adotta una più pratica felpa, meglio se con la scritta «Milano» sul petto. Ed è evidente il suo disagio nelle occasioni ufficiali, come alla prima della Scala, con l’abito obbligatorio.

Potrebbe prendere lezioni di stile da Matteo Renzi... «Ci mancherebbe» sbotta. «Siamo diversi in tutto e per tutto. Da quando è segretario lui ha cambiato il partito, rottamato, rotto con il passato all’insegna del faccio tutto io... Io sono l’esatto opposto. Io da solo non sono nulla e non posso fare nulla. Sono parte di una squadra, quella che ha aperto 2 mila gazebo in un fine settimana. Come partito abbiamo vissuto una fase governativa per cercare di cambiare il Paese dal di dentro. Cambiare da Roma, però, è molto complicato. La gente adesso ha bisogno di toccare la politica con mano. E non basta più la politica “ferma” di un tempo, oggi ci vuole la piazza».

La piazza è quel che unisce la Lega a Marine Le Pen. A proposito, chi ha chiesto l’incontro all’altro? «Ho chiamato io» risponde Salvini. «Ci siamo trovati in sintonia su temi fondamentali: via dall’euro, stop all’immigrazione clandestina e difesa della famiglia tradizionale. È una donna tostissima, dobbiamo rivederci presto per discutere i dettagli della nostra collaborazione. In qualche maniera ci stiamo “usando” a vicenda. Anche perché l’antieuropeismo è un sentimento sempre più forte».

Ma non è solo strada e piazza, Salvini: ha nel cuore anche la montagna dove corre appena può nell’appartamento di famiglia a due passi dal passo del Tonale; lì ha imparato ad apprezzare la polenta, la cucina semplice, la birra (più del vino) in conflitto perenne tra dieta e menefreghismo. Un rifugio lontano dalla città, da dove partire per andare a sentire i vicini comizi agostani di Bossi a Ponte di Legno.

«Bossi e Roberto Maroni» precisa. «Io non ho mai seguito l’onda delle correnti interne alla Lega Nord. Se siamo quel che siamo lo dobbiamo al lavoro di entrambi. Poi, certo, sono stati fatti errori: ma non sono un buon motivo per rinnegare il passato. Anzi. Sono orgoglioso di tutto il percorso fatto dal movimento». Tradizionalista quindi, come nella scelta della rosticceria preferita (è in corso Vercelli, a Milano), ma anche innovatore: è stato il primo politico a presentarsi in tv col tablet sulle gambe, sempre connesso al mondo reale e a quello virtuale. Allora guardato con sospetto, oggi copiato da molti. «Se c’è una cosa che posso dire di avere portato come “mia” nel partito è proprio questa: la presenza online. La Lega in questo è sempre stata indietro. Siamo nel 2014, internet è un’enorme piazza e la stiamo frequentando. Abbiamo numeri di crescita incredibili: in 6 mesi sono passato da 20 a 80 mila fan su Facebook, senza comprarli. La cosa strana è che c’è tantissima gente dal Centro-Sud. La seconda città per amicizie, nella mia pagina, è Roma».

Sogni nel cassetto? Pochi. Famiglia? Fatto. Sport? Dal calcio ha avuto tutto. Ha seguito il Milan in giro per gli stadi d’Italia e d’Europa. Ma da tifoso, lui che in camera aveva il poster di Franco Baresi, al presidente Silvio Berlusconi ha chiesto di fare qualcosa: «Non tanto per me, quanto per mio figlio; lui il Milan sul tetto dell’Europa non l’ha mai visto». Ed è anche difficile chiedere qualcosa in più alla politica, per uno che, partendo dalla gavetta, è stato nominato segretario a soli 40 anni. Eppure...

«Ognuno è legato alla sua città. La mia è Milano. Mi piacerebbe trovarmi a guidarla, un giorno; poi forse smetto e mi ritiro a vita privata». Nella sua casa in montagna, ad ascoltare le canzoni di Fabrizio De André e a guardareBraveheart. Ma non ci crede nessuno, lui per primo

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Andrea Soglio