Lupi, Incalza e l'Italia che non cambia
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Lupi, Incalza e l'Italia che non cambia

Il ministro delle infrastrutture nel tritacarne anche se non è neppure indagato, un burocrate che dovrebbe essere a riposo e invece occupa posizioni decisive, la difficoltà dei politici onesti di stare lontani da relazioni pericolose

Processato e condannato. Maurizio Lupi, ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nonostante non sia neppure indagato è già dentro la gogna, nel tritacarne mediatico-giudiziario, "nell’occhio del ciclone", al centro del nuovo ed ennesimo scandalo sulle grandi opere.

Alla vigilia dell’Expo 2015 a Milano. L’Italia non è cambiata, e agli occhi del mondo questo è solo l’ultimo capitolo di un’enciclopedia vivente e immarcescibile della corruzione del Belpaese.
Ovvio che quasi non importa, ora, quante accuse (a alti burocrati e imprenditori privati) alla fine reggano alle indagini e a un eventuale processo.

Nel tritacarne c’è un alto papavero della pubblica amministrazione, Ercole Incalza, un nome un destino (di potere), indicato come il "dominus" dei lavori pubblici, per 14 anni ai vertici del ministero con 7 governi e 5 ministri, e nonostante in pensione a capo di una cruciale struttura tecnica di missione. Uomo di Lupi, dicono, legato a Comunione e liberazione.

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Un cognome che fa effetto
Nel tritacarne c’è però soprattutto il nome che fa effetto, anzi il cognome: Lupi, appunto. Maurizio, ministro nonché esponente di spicco di Ncd, e il figlio Luca, ventisettenne laureato al Politecnico di Milano, ingegnere civile, che avrebbe beneficiato di un incarico a tempo da 1300 euro netti al mese presso l’Eni e di un regalo: un Rolex da svariate migliaia di euro. Al padre, invece, in dono un abito sartoriale.

La difesa
La difesa dei Lupi è semplice: non abbiamo “ottenuto” nulla, perché nulla abbiamo chiesto. Né il padre né il figlio, ripeto, risultano indagati: per gli inquirenti quel Rolex e quell’abito non bastano a delineare una fattispecie di reato.

In Italia nulla è cambiato
E allora? Allora questa vicenda è comunque gravissima, è la riprova che in Italia nulla è cambiato. E precisamente:
1. I processi continuano a esser celebrati preventivamente sulle pagine dei giornali grazie alle veline giudiziarie (a scorno del cosiddetto giornalismo investigativo, che ancora una volta smentisce se stesso riducendosi a una colorita ma deprimente attività di “postinaggio” e trascrizione di intercettazioni telefoniche fuori contesto).

2. Presunti colpevoli e innocenti si ritrovano nello stesso calderone: grand commis, politici e imprenditori, con responsabilità intrecciate e indistinte che implicano una condanna sommaria e collettiva.

3. Il perno del nuovo scandalo sembra essere Incalza, l’alto burocrate che ha “gestito” le grandi opere in Italia per oltre due lustri. E anche questo è un “già visto”. Perché mai uno come lui (un alto dirigente dello Stato) a fine carriera non deve andare a riposo, in pensione, lasciare spazio ai giovani e scollarsi dalla poltrona anche di fatto, e conserva invece l’incarico sotto forma di proroga a settant’anni suonati? C’è o no qualcosa di profondamente sbagliato in questo?

4. Quand’è che finalmente i politici capiranno che certe relazioni ravvicinate e pericolose devono essere evitate anche solo perché oltre alla sostanza, pure l’apparenza dev’essere salvata agli occhi della pubblica opinione? Come ha potuto un uomo avveduto e capace come Lupi cadere nella trappola di accettare un regalo, consegnandosi al tritacarne? C’è un limite alle amicizie che un uomo di governo deve coltivare? (Anche per evitare che siano trascinati nella gogna anche i familiari, come Luca che a quanto pare neppure ambiva a lavorare in Italia ma era già con un piede negli Stati Uniti).

5. E quanto peserà anche questo scandalo, in assenza di alcuna verità processuale, sull’immagine del Paese alla vigilia di un evento di rilievo internazionale come l’Expo che dovrebbe rilanciare la nostra economia? E quanto inciderà il clamore mediatico sulla fiducia degli investitori stranieri? Chi pagherà questo prezzo?

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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