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MLADEN ANTONOV/AFP/Getty Images
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La Rivoluzione russa: 100 anni dopo cosa ricordare

Una storia tragica segnata da un terribile fallimento che deve essere ripensata anche in funzione di alcune idee e domande, ancora attuali

Perché ricordare ancora oggi la Rivoluzione russa che nel 1917 che portò alla fine dell'Impero Russo e alla costruzione del "primo Stato socialista della storia", con tutto il seguito di oppressioni, fallimenti e tragedie?

  • Per la sua modernità, che risiede principalmente negli interrogativi che non ha mai sciolto. La Rivoluzione d’ottobre è ancora prigioniera del cinismo machiavellico che incombe su ogni politico a qualsiasi latitudine: quale ruolo hanno i fini e quale ruolo hanno i mezzi? Teorizzata per primo dall’austriaco A.F. Von Hayek questa domanda mette impietosamente la rivoluzione russa di fronte a se stessa e alle parole di Giovanni Paolo II: “nessun male compiuto con buona intenzione può essere scusato".

  • Per una seconda domanda, sulla quale gli storici ancora dibattono: se essa sia stata la causa della tragica guerra civile europea. Cioè il conflitto tra tutte le forze nazionaliste e conservatrici sedotte dal totalitarismo nazifascista contro tutte le forze internazionaliste e progressiste a loro volte sedotte dal miraggio egualitario e altrettanto totalitarista del comunismo. Se così fosse, si tratterebbe di uno scontro iniziato con la Guerra civile spagnola e terminato con la Seconda Guerra Mondiale.

  • Per l’idea, cristallizzata da François Furet, lo storico liberale della Rivoluzione francese, che il mito (in questo caso l’uguaglianza) possa guidare i meccanismi della Storia e determinarne gli esiti. Il sospetto che alla base di un evento collettivo così dirompente e dal costo enorme in termini di vite umane ci sia un fattore scatenante astratto: l’utopia.

  • Per il Pantheon degli émigré confluiti poi nella dissidenza. I grandi nomi della cultura russa patrimonio dell’umanità, da Nabokov a Rachmaninov, da Brosdkij a Rostropovich, con un retaggio che arriva sino ai giorni nostri. L’astro inarrivabile di Nureyev (altro esule dissidente) oscurato dal Bolshoi quando, pochi mesi fa, il teatro ha cancellato (solo rimandato, dicono con stile sovietico le autorità) il balletto celebrativo dedicato al più grande ballerino classico di tutti i tempi.

  • Perché, vedendola con un po’ d’ironia, ha dimostrato come Karl Marx poteva pure sbagliarsi. Aveva teorizzato la dittatura del proletariato per i paesi a rivoluzione industriale compiuta, e invece la rivoluzione atea scoppiò nell’arretrata Russia zarista. Uno shock anche per Woody Allen: “Dio è morto, Marx è morto… e anche io oggi non mi sento tanto bene!”

  • Per la tragica delusione del continente africano che sognava la decolonizzazione – e la modernizzazione - attraverso il marxismo ormai consolidato nella casa madre russa. Il fallimento dei comunismi africani come il preludio della crisi finale dell’Urss, dopo l’illusione riformista della Perestrojka.

  • Per la commovente ultima battaglia di Gorbačëv e della sua eredità politica, basata sul binomio Glasnost e Perestroika. La Trasparenza e la Ricostruzione in favore di una rivoluzione tradita 70 anni dopo dalla burocrazia, dalla censura, dai tecnocrati e infine dai nuovi oligarchi, pronti a scalare il potere.

  • Per l’orgoglio dei simboli, la stella rossa su tutti, rimasti il vessillo dell’esercito attorno al quale il 9 maggio di ogni anno tutta la Russia celebra la Grande Vittoria sovietica (nessuno si sogna di omettere il termine) e patriottica sulla barbarie nazista.

  • Per la Costituzione del 1936 che riconosceva la totale uguaglianza dei sessi e sanciva i diritti dell’uomo e del cittadino (e anche della piccola proprietà privata, certo) in diretta ascendenza con la Costituzione francese del 1793, e poi ispiratrice, soprattutto per quanto riguarda il diritto al lavoro, della nostra Costituzione del 1948.

  • Per l’eroe di Nabokov, Sebastian Knight, che imita non a caso il destino tragico di von Kleist e del suo principale eroe, quel Principe di Homburg sognatore ad occhi aperti in bilico tra il reale e l’onirico. La rivoluzione russa come un sogno capace di trasformarsi in incubo e sul quale è impossibile dare una definizione univoca. Lo ha detto meglio di tutti Vladimir Putin (sintesi vivente del mondo di ieri e di quello di oggi): “chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore”.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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