L'offensiva di primavera dei talebani
Noorullah Shirzada /AFP /Getty Images
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L'offensiva di primavera dei talebani

Gli studenti coranici stanno per scatenare un attacco su larga scala contro l'esercito afghano e gli uomini della Nato

L'hanno chiamata Operazione Omar in ricordo del Mullah fondatore dell'Emirato islamico dell'Afghanistan deceduto per tubercolosi nel 2013.

L'intenzione, scrivono in un comunicato i talebani, è quella di scendere dalle montagne innevate dove si erano rifugiati durante l'inverno e «lanciare degli attacchi di grande forza contro postazioni nemiche in tutto il Paese», utilizzando anche, laddove necessario, «attacchi suicidi» contro «i comandanti nemici». Obiettivo: «Demoralizzare il nemico straniero e fargli abbandonare la nostra Nazione», facendo attenzione - scrivono i talebani - «alla protezione dei civili e delle infrastrutture».


2015, l'anno nero dell'Afghanistan

Secondo un'analisi di Dawood Azami pubblicata sul Al-Jazeera era dall'intervento americano del 2001 in Afghanistan che i talebani afghani non erano così forti, numerosi e determinati. Conterebbero oggi su qualche decina di migliaia di uomini e sarebbero in una fase di forte asceca politico-militare in un Paese dove i timidi tentativi di formare un governo di unità nazionale, anche con una corrente moderata dei talebani, sono finora andati a vuoto e il processo di pace sembra essere giunto in una fase di stallo, con i soldati delle forze armate afghane sempre più demoralizzati e privi degli armamenti necessari a fronteggiare le tecniche guerrigliere mordi-e-fuggi della resistenza. 

I talebani oggi sono molto diversi da quelli che avevamo conosciuto nel 2001, quando gli americani e i loro alleati lanciarono l'operazione Enduring Freedom. Non sono più, come allora, una forza esclusivamente pashtun e nazionale, come nel 2001. Attingendo a piene mani dall'esperienza, qualche migliaio di chilometri ad ovest, del Daesh, sono riusciti a reclutare  dal Pakistan migliaia di combattenti islamisti uzbeki, ma anche arabi e pachistani,che  si sono riversati in Afghanistan in seguito all'operazione Zarb-e-Arb  in un crescendo di attacchi e campagne militari non convenzionali.

Radicati in 34 province del paese, grazie anche a poco meno di 10 mila foreign fighters mediorientali e asiatici, punterebbero ora, con l'offensiva di primavera, non già a cacciare i 12500 soldati dell'Alleanza atlantica rimasti nel Paese con ruoli di addestramento, ma a consolidare le loro cittadelle militari, estendendo il controllo - come ha fatto l'Isis in Siria e in Iraq - su aree sempre più vaste del Paese. Non che i talebani facciano parte della  Federazione jihadista internazionale che fa capo allo Stato islamico, come il Movimento Nazionale Uzbeko. I talebani, ufficialmente, sono nemici del Daesh con cui spesso si sono scontrati militarmente. Eppure, dall'esperienza del Daesh, hanno tratto grandi insegnamenti, per mettere in difficoltà le potenze straniere presenti sul suolo afghano e soprattutto il mal equipaggiato esercito di Kabul.

Dopo la morte di Omar, a prendere le fila del movimento è stato il Mullah Akhtar Mansoor, che ha faticato non poco a tenere unite le litigiosissime fila talebane. A incoronarlo leader incontrastato del movimento sono state soprattutto le vittorie sul campo, con le battaglie nelle province di Nangarhar, Farah, Kunar, Zabul e Helmand dove i talebani si sono scontrati anche contro gli islamisti legati al Daesh. La loro forza deriva anche dal controllo della produzione di oppio nella zona di Helmand, che assicurerebbe al gruppo decine di milioni di dollari all'anno grazie a un efficace sistema di tassazione, sul modello del Daesh, sui grossisti e sui contadini della provincia.

 

  

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