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JACQUES DEMARTHON/AFP/Getty Images - 25 maggio 2018
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Perché, nonostante tutto, la Libia si sta normalizzando

Nonostante l'autobomba a Bengasi, ci si prepara alle elezioni, con la Francia che media tra Al-Serraj e Haftar

La strada verso la normalizzazione della Libia, nonostante le difficoltà, sembra tracciata.

Dopo anni di guerra civile intestina, scatenatasi all'indomani della caduta di Muhammar Gheddafi, con il Paese lacerato dagli scontri tra tribù e l'Isis in avanzata, il paese sembra potersi avviare verso le prime vere elezioni, quelle che dovrebbero sancire la fine della contrapposizione tra il premier riconosciuto dalla comunità internazionale, Al Serraj e il suo avversario, fin qui, il generale "ribelle" Haftar.
E questo nonostante la situazione non sia affatto tranquilla, come dimostra l'autobomba delle scorse ore a Bengasi, controllata proprio dall'Esercito nazionale (LNA) dell'alto ufficiale libico.

A guidare questo processo è la Francia, non senza il sospetto che l'Eliseo voglia guadagnare prestigio internazionale per poterne trarre anche vantaggi economici sotto forma di appalti e scambi commerciali. E' stata proprio Parigi a redigere un documento che sono chiamati a firmare non solo Serraj e Haftar, ma anche il presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, e quello dell'Alto Consiglio di Stato di Tripoli.

L'obiettivo è arrivare a elezioni entro fine anno, ma tutto ciò avviene a poche settimane dalla notizia della morte dello stesso Haftar, poi smentita dallo stesso generale, tornato in pubblico.

Il documento

Il testo, che fonti diplomatiche hanno definito "di alto profilo", è intitolato Bozza di accordo-conferenza sulla Libia. Porta la data del 22 maggio, una settimana prima della presunta firma che, nelle intenzioni di Parigi, dovrebbe arrivare il 29 maggio nella capitale francese.

Secondo indiscrezioni rappresenta un elenco di 13 punti e ricalca il piano di pace già redatto a settembre scorso dall'inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamè, e presentato alle Nazioni Unite. Per dare ancora maggiore valore all'impegno sono stati chiamati anche altri paesi del nord Africa, dell'Europa (Italia compresa) e non solo. A Parigi sono convocati rappresentanti di Algeria, Ciad, Egitto, Marocco, Niger, Sudan, Tunisia e Unione Africana, oltre a Cina, Russia, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Lega Araba, e inviati speciali di Italia, Germania, Gran Bretagna e Turchia.

Cosa prevede il piano di pace

Il primo impegno previsto è quello alla "immediata riunificazione della Banca centrale libica e lo scioglimento di tutte le istituzioni parallele". Al secondo punto si chiede "l'avvio di una nuova sessione di registrazione degli elettori per un ulteriore periodo di 60 giorni". Al terzo "il riconoscimento che l'adozione della Costituzione redatta dall'Assemblea costituente è un momento cruciale per la sovranità della nazione libica".

Al quarto è previsto  "il sostegno alla missione Onu per mettere a punto, consultando le autorità libiche, una proposta e un calendario per tenere un referendum sulla costituzione, prima o dopo le elezioni”; al quinto punto si afferma che le elezioni devono "tenersi entro la fine del 2018", previa stesura di una "legge elettorale", come chiarito al punto successivo.

Si procede sottolineando come le consultazioni debbano essere garantite dalle "forze di sicurezza libiche, in coordinamento con Onu/Ue/Lega araba/Ua", in modo che "garantiscano la sicurezza dell’organizzazione delle elezioni e delle operazioni di voto, sotto la supervisione internazionale". Indispensabili sono anche il trasferimento della "sede del parlamento il prima possibile" (punto 8), "l'impegno a sostenere il dialogo tra le forze militari in corso al Cairo, e l'unificazione dell’esercito nazionale e la definizione di una struttura militare dopo le elezioni sotto il controllo dei legittimi poteri civili".

Fondamentali, dunque, la riunificazione dei poteri e delle sedi, così come l'impegno della comunità internazionale previsto al punto 10 "a sostenere attivamente la Libia e le autorità libiche per migliorare i servizi garantiti alla popolazione".

Infine, negli ultimi tre punti sono contenuti gli impegni al rispetto solenne dell'accordo stesso (punto 11), alla "fiducia della comunità internazionale nelle istituzioni libiche" e al mantenimento delle promesse stesse, con una conferenza politica "inclusiva in Libia o all’estero per seguire gli sviluppi dell’applicazione di questo accordo, in un lasso di tre mesi" dalla firma.

I dubbi

In una situazione di generale caos in Libia, il premier Sarraj ha già iniziato a discutere delle modalità con le quali tenere le elezioni con il presidente francese, Macron. Lo stesso Serraj si è recato al Cairo, capitale egiziana, per definire i dettagli di un incontro con Haftar, che preceda quello del 29 maggio a Parigi.

Restano, però, molte perplessità, a partire dagli altri attori in campo. Al vertice nella capitale francese partecipano anche il presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, Agila Saleh, e quello dell'Alto Consiglio di Stato di Tripoli, ovvero la camera "alta" libica, Khalid al Mishri. Quest'ultimo, però, è un rappresentante dei Fratelli Musulmani, particolarmente inviso a Emirati Arabi Uniti ed Egitto che combattono il movimento della Fratellanza musulmana nei rispettivi paesi.

Si era valutata l'ipotesi di inviare a Parigi un altro rappresentante dell'Alto Consiglio di Stato, ma questo avrebbe comunque significato un dimezzamento della sua figura e rappresentatività.

Al vertice, invece, non sarebbe stato invitato un uomo-chiave in Libia come Ahmed Mahtig, che è vice di Serraj e soprattutto rappresenta la città-Stato di Misurata, strategica negli equilibri in Libia. Mahtig ha ottimi rapporti con l'Italia, ma Parigi non ha ritenuto che la sua presenza fosse sufficiente importante ai fini del futuro del Paese.

Usa "assenti" e Onu "dimezzata"

A sollevare altre perplessità sono anche il silenzio statunitense e il ruolo dell'Onu. Washington sembra essersi completamente disinteressata alle sorti libiche dall'insediamento del presidente Trump. L'inversione di rotta (o il tentativo di segnare la rottura con la linea dell'amministrazione Obama-Clinton nel nord Africa) pare evidente. Secondo diverse fonti, la questione libica non gode di un'attenzione a sé, ma rientra semplicemente nelle strategie cosiddette MENA, ovvero Medio Oriente e Nord Africa. Al momento l'impegno statunitense è soprattutto militare, con raid contro l'Isis messi a segno dalle truppe sul campo, e con droni e mezzi aerei in partenza da Sigonella, in Sicilia.  

L'iniziativa francese, inoltre, di fatto "spodesta" l'Onu e in particolare Ghassan Salamé. L'inviato speciale delle Nazioni Unite rischia così di limitarsi a "notificare" azioni targate Parigi.

Il braccio di ferro di Haftar

Il nodo da sciogliere è il riconoscimento delle autorità civili e militari che fino ad ora si sono contrapposte tra Tripoli e Bengasi. fondamentale il ruolo di Khalifa Haftar, 75enne generale addestrato nell'ex Unione sovietica e in Egitto, considerato uomo filo-americano. E' comandante dell'autoproclamato esercito libico, che controlla gran parte della Cirenaica. E' impegnato nella guerra contro il terrorismo e in particolare contro il gruppo islamista di Ansar al-Sharia, e viene visto come l'uomo giusto per la guida del paese dalla maggioranza degli ex seguaci di Gheddafi. Ha ottimi rapporti con il presidente egiziano al-Sisi, ma anche con Mosca.

A preoccupare, però, sono le sue precarie condizioni di salute. Il 5 aprile era stato ricoverato all'ospedale Val de Grace di Parigi per un malore, pare a causa di una emorragia cerebrale. Una settimana dopo si era diffusa la notizia della sua morte, poi smentita dall'Unsmil, l'United Nations Support Mission in Libya dell'Onu, con un tweet che riferiva di un colloquio telefonico.  

Dopo aver cacciato da Bengasi milizie jihadiste e dei Fratelli musulmani, con l'appoggio di alleati stranieri come Emirati Arabi Uniti ed Egitto, gode del sostegno russo e ha ottenuto un riconoscimento formale del suo ruolo anche dal presidente francese, Macron, la scorsa estate, quando alla sua presenza ha stretto la mano di Serraj proprio a Parigi.

Con gli Usa ha riallacciato di recente antichi rapporti, dopo che nel 1969 era stato tra gli ufficiali del colonnello Gheddafi che partecipò al golpe contro re Nasser. "Scaricato" dallo stesso Gheddafi dopo la cattura in Ciad nel 1987, collaborò con la CIA in un tentativo fallito di rovesciare il raìs libico, trovando protezione per circa 20 anni negli Usa, in Virginia, e ottenendo la cittadinanza americana.

Proprio con gli Usa ha rafforzato i propri legami, dopo incontri in Giordania, permettendo di fatto il ritorno della CIA a Bengasi, dopo l'attentato del 2011.

Nonostante le aperture a Serraj, resta il suo pessimismo sul futuro della Libia. Al settimanale Jeune Afrique lo scorso marzo ha dichiarato: "La Libia di oggi non è matura per la democrazia" per la quale, secondo Haftar, occorrerà aspettare "future generazioni". " Se le elezioni falliranno mantenendo lo stallo - ha aggiunto - le mie forze prenderanno il controllo dell’intero paese".

Serraj: troppo debole?

A contrapporsi al comandante delle forze armate fedeli a Tobruk è Fayez al Serraj, 58 anni, presidente e premier del governo di unità nazionale con sede a Tripoli. Su di lui erano riposte le speranze dei principali leader internazionali, in un percorso di pacificazione e normalizzazione della Libia che però, a oltre due anni dal 30 marzo 2016 (giorno dell'insediamento), non si è ancora concretizzato.

La crisi economica ha acuito le tensioni e i disordini nel paese, dove mancano anche un'adeguata rete elettrica e le condizioni di sicurezza minime. All'interno del governo di unità nazionale, poi, ci sono anche le forze islamiste di Rada, di ispirazione salafita, che hanno un ruolo fondamentale nella gestione del ministero dell'Interno e che preoccupano la comunità internazionale.

Si teme che la sua "debolezza", unita a un'esperienza militare pressoché inesistente, possano favorire un ritorno in campo del figlio di Gheddafi Seif al Islam, rilasciato a giugno dello scorso anno dopo 6 anni in carcere. Approfittando dell'amnistia approvata dal Parlamento di Tobruk il figlio prediletto dell'ex colonnello, 44 anni, è stato accolto dalla brigata Abu Bakr-al Sadiq che controlla la città di Zintan, nella Libia occidentale (Tripolitania).    

Secondo Asharq Al-Awsat, che cita fonti ben qualificate, Sarraj sarebbe disposto a incontrare Haftar nel quartiere generale dell'Esercito nazionale libico, legittimando così di fatto il suo ruolo.

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