panorama copertina 24 2018
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Crisi politica: premete OFF

Tatticismi esasperati, veti, ipocrisie, errori: ecco come siamo finiti nel frullatore Italia. La crisi più confusa e devastante che si ricordi. L'editoriale del direttore di "Panorama"

Dunque ci si è impiccati a un tecnico. L’economista Paolo Savona valeva questo patatrac? A naso direi di no. Proprio Luigi Di Maio e Matteo Salvini, poi, due leader che di tecnici non volevano sentir parlare, che tuonavano contro i professori cooptati per commissariare i politici, proprio loro hanno impiccato l’Italia a un professore. Surreale. Mentre reali sono stati i tatticismi esasperati, le ipocrisie, gli errori che ci hanno infilato in un frullatore come quello che ho messo in copertina.

Per quanto io non sia né grillino né leghista, per quanto diffidi dei massimalismi, ritenevo che un governo dei populisti, indubitabilmente vincenti alle elezioni, andasse messo alla prova del governo. Però mi fa paura che si calpestino con folle superficialità elementari regole istituzionali, che si superi con nonchalance ogni limite, che si mettano nel tritacarne gli equilibri costituzionali, che si guardi prima ai propri interessi poi a quelli del Paese.

Avete visto domenica in tv Di Maio al comizio di Fiumicino con Alessandro Di Battista che gli lucida le scarpe oggi per fargli le scarpe domani? Dicevano che il presidente della Repubblica ha tradito la Costituzione, che va processato e cacciato. Non aggiungevano «a calci nel sedere» ma quello era il senso. Ripetevano che bisogna davvero dare il potere al popolo e mandare a casa chi non ci sta. Danton, Robespierre e la ghigliottina all’opera dei pupi. Ingresso gratuito. Ragazzi, respiro profondo e contate fino a un milione. Voi vi candidate per guidare il Paese non per trasformarlo in una canea. La responsabilità che mostravate fino a sabato era soltanto un travestimento?

A dar manforte si alternavano in tv Giorgia Meloni e Daniela Santanché. Anche loro scatenate. Alto tradimento, impeachment, costituzione calpestata. Capisco che vogliano salire in corsa sul treno populista ad alta velocità, ma premere reset sui toni no?

Poi c’era lui. Il gatto leghista che in ottanta giorni ha trasformato la volpe grillina in un animale da compagnia. Fateci caso. «Sono molto incazzato» diceva domenica sera e nello stesso tempo pareva molto sollevato. Mai visto un incazzato così sornione. Ha perfino lasciato che i suoi alleati grillini apparissero esagitati mentre lui equilibrato.

Fin dall’inizio, dopo il voto del 4 marzo, era l’unico con tante carte in mano e tanti tavoli su cui giocare. Poi «Savona o morte». Un supertecnico o niente. La sua partita è stata magistrale in azzardo e in spregiudicatezza. Gli andava bene fare il governo con i grillini, gli andava bene farlo col centrodestra, gli andava bene andare al voto subito, gli andava bene se il governo coi grillini saltava. Gli va bene adesso andare al voto da solo o col centrodestra da lui monopolizzato. Gli andrà bene se otterrà la maggioranza assoluta col centrodestra e se non dovesse averla, gli andrà bene tentare il bis con i grillini. Salvini non aveva nulla da perdere e quando lo diceva - perché bisogna dargli atto che lo diceva - non bluffava. Come i pescatori d’altura, ha dato lenza al Quirinale per poi riavvolgerla bruscamente. Ha messo le cose in modo tale che domenica Sergio Mattarella non avrebbe potuto cedere, altrimenti saremmo diventati uno Stato senza Capo dello Stato. E così gli ha lasciato la bomba col timer prossimo all’ora zero. «Non posso accettare il veto, è questione di principio». Boom.

Ingenuamente mi chiedo: anche volendo contestare a Mattarella un veto improprio, davvero Salvini senza Savona non riusciva a fare il governo del cambiamento? Di Maio ha detto che lo hanno conosciuto insieme un mese fa, il professore: e se non l’avessero conosciuto? Se Savona avesse detto no? Non avrebbero fatto il governo per un tecnico mancante? Non avevano una figura all’altezza del ministero dell’Economia? Il fedelissimo e capace Giancarlo Giorgetti no e poi no. Il professore, lui soltanto. Non lo conosco, Paolo Savona, so che quando parla sa di che cosa parla, ho sulla scrivania un articolo che scrisse per Panorama quattro anni fa in cui criticava con criterio l’Europa, lo ritengo un tecnico di rango. Ma la sua deriva anti euro negli ultimi anni è diventata estrema e drastica, il suo risentimento verso i tedeschi pure.

Per l’Europa sarebbe stata una dichiarazione di guerra, per l’Italia un esordio violento. Si possono e si devono respingere al mittente le ingerenze sconsiderate di alcuni euroburocrati, si possono e si devono battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, ma cominciare consegnando una dichiarazione di guerra non era forse l’idea migliore vista la situazione economica in cui siamo e di cui siamo principalmente responsabili. Facile scaricare soltanto sugli altri le colpe del nostro debito pubblico.

Ancor più ingenuamente mi sono anche domandato perché il professore Savona, visto il precipizio senza precedenti verso cui ci stavamo incamminando, non si sia ritirato. Poteva dire: «Ritengo sconcertante il no sul mio nome ma sono sicuro che questo governo saprà portare avanti le idee sue e mie; siccome il risultato conta più della mia persona, siccome la mia storia dimostra che la stabilità del Paese mi preme prima di tutto, sono indisponibile a fare il ministro». Invece no. «Questione di principio» ha spiegato anche lui. Io non sono un politico e neanche un fine analista, ma penso si possano trovare compromessi che non calpestino i principî sopratutto quando la posta in palio è il bene di un Paese malmesso come il nostro.

Infine il Presidente della Repubblica. Facile parlare col senno di poi e non voglio mancare di rispetto a un uomo che ricopre la più alta carica di garanzia e che ha una storia personale all’altezza di quella carica, ma se siamo dove siamo, qualche errore deve essere stato commesso. Mattarella è stato il padre di questo governo che lui ha voluto fortissimamente e ora si trova paradossalmente ad essere rappresentato come un infanticida. L’irrituale outing che ha fatto domenica raccontando i retroscena della crisi forse lo si poteva fare qualche giorno prima, appena capito che Savona era la carta usata per far saltare il banco. Il protocollo istituzionale è il protocollo istituzionale ma era davvero irrituale giocare d’anticipo e spiegare con pacatezza al Paese i dubbi sul professore? Ho l’impressione che ci fosse margine per disinnescare la mina prima che scoppiasse.

Infine l’altro paradosso: Mattarella voleva far nascere il primo governo populista ma voleva anche abbassarne i toni. Non solo non c’è riuscito e ogni equilibrio è saltato, ma adesso corriamo verso elezioni che più radicali e urlate non si può. Contrapposizioni esasperate, forzature mai viste, slogan e invettive. I ragionamenti pacati possono attendere. E il frullatore va senza sosta, inceppato sul pulsante ON.

[Questo articolo è stato pubblicato sul numero 24/2018 di "Panorama", in edicola il 31 maggio 2018

raffaele.leone@mondadori.it

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Raffaele Leone