La cultura del fallimento contro i suicidi degli universitari
ANSA/GIORGIO BENVENUTI
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La cultura del fallimento contro i suicidi degli universitari

Uno studente su tre mente alla propria famiglia circa lo svolgimento del proprio piano di studi e lo fa perché non ha imparato a perdere

Nella cultura americana, scolastica e imprenditoriale che sia, se qualcuno fallisce gli viene chiesto: "Ok, è andata male, ma cosa hai imparato da questa esperienza?".

Un approccio costruttivo al fallimento

Questo approccio costruttivo al fallimento in Italia non esiste e, al contrario, prevale il bisogno di dimostrare di essere superiori al prossimo anche di fronte all'evidenza di un errore, di uno scivolone o di un passo indietro.

Succede così fin dalla più tenera età quando i genitori sovraccaricano i figli di stimoli con l'idea di trovare il "talento" della propria prole già a 4 o 5 anni. Che sia a scuola, nello sport, nel canto o nella musica è come se l'importante fosse poter "sventolare" al prossimo quanto orgogliosi si è dell'eccellenza del proprio bambino.

Si tratta di una spirale pericolosa che mette in atto un contocircuito compensatorio dove l'asticella dell'aspettativa genitoriale è sempre al rialzo con figli spesso alla rincorsa di un ideale lontano cucito loro sul petto da genitori incontentabili che non contemplano la possibilità che il proprio figlio, semplicemente, non ce la faccia. 

La mancanza di cultura del fallimento è determinante per comprendere l'emergenza sociale che si sta creando all'interno degli atenei italiani.

Emergenza suicidi nelle università italiane

Il suicidio della ventiseienne molisana Giada De Filippo che si è lanciata dal tetto dell'Università Federico II di Napoli nel giorno della sua (non) laurea è solo la punta dell'iceberg. Giada aveva invitato i genitori, il fidanzato e gli amici ad assistere alla sua discussione di laurea incapace di confessare che, nel corso dei 4 anni di Università da studente fuori sede, di esami ne aveva dati davvero pochi e che, quindi, la laurea in Scienze naturali, era quanto mai lontana. Vestita di tutto punto, mentre era al telefono col fidanzato, Giada è salita sul tetto della Facoltà e si è lanciata nel vuoto.

Solo negli ultimi 15 mesi in Italia ci sono stati altri due casi identici: uno studente abruzzese iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Roma si è sparato in testa la sera prima della laurea: non ci sarebbe stata nessuna discussione perché gli esami non li aveva ancora finiti. Alla stazione di Rovigo, pochi mesi prima, un presunto laureando in Ingegneria all'università di Ferrara si è lasciato travolgere dal treno per motivi analoghi.

Tragiche similitudini

Il portale Skuola.net ha raccolto i casi di suicidi degli ultimi anni e sono decine, tutti con più o meno lo stesso copione. Si tratta per lo più di studenti fuori sede cui le famiglie hanno dato piena fiducia sobbarcandosi anche le spese di affitto e trasporti lontano da casa.

Quei ragazzi, però, la fiducia giorno dopo giorno l'hanno tradita e mentre mamma e papà pagano rette e affitti loro passano il tempo tra feste, locali e attività varie che poco o nulla hanno a che fare con lo studio. Oppure ci sono i casi di coloro che non riescono a passare gli esami e per vergogna e paura di deludere i genitori tacciono infilandosi in una spirale di menzogne dalla quale, poi, non riescono più a uscire. 

La paura di deludere

Il tema della delusione è centrale per capire cosa scatti nelle mente di questi ragazzi lontani da casa e messi davanti alle responsabilità della vita adulta senza, forse, essere preparati a farlo.

Un tempo il genitore era una sorta di autorità ieratica della quale si aveva un reverenziale timore. La "paura" della punizione in caso di fallimento era uno stimolo a dare il meglio affinché quel padre o quella madre venisse ripagato dei sacrifici fatti per crescere e far studiare i figli. 

Poi questo meccanismo si è inceppato o evoluto e comunque è cambiato e, dagli anni '70 in poi, i genitori sono diventati sempre più "amici" e confidenti dei propri ragazzi.

Se da una parte questo ha fatto bene alla sfera affettiva dei giovani dall'altro proprio questo grande investimento in termini di affettività ha fatto sì che al timore della punizione in caso di fallimento venisse sostituita una paura ben più pericolosa ovvero quella di deludere il proprio padre e la propria madre.

La delusione è un sentimento complesso e che implica il tradimento di promesse e aspettative. Fa più male un mese di castigo o aver deluso le persone che più ci amano?

Uno studente su tre mente a casa

Sempre Skuola.net ha pubblicato di recente un sondaggio condotto tra 1.000 studenti delle università italiane che ha messo in luce come il 35% degli interpellati abbia mentito almeno una volta in famiglia circa gli esiti della propria carriera accademica e il 17% dei bugiardi lo fa sistematicamente. 

I Pinocchio degli Atenei per lo più mentono sugli esiti degli esami (24%) gonfiando un po' i voti; mentre il 18% altera il numero degli appelli sostenuti e superati. Il 7%, infine, ha fatto intendere che la data della laurea fosse più vicina del previsto.

E' emergenza sociale?

Secondo gli esperti parlare di emergenza sociale è lecito e doveroso e l'appello è rivolto sia agli insegnanti sia alle famiglie e ruota proprio intorno all'accettazione del concetto di "fallimento".

E' un argomento che andrebbe trattato il prima possibile affinché anche gli studenti che ritengono il giorno della laurea le colonne d'Ercole della propria esistenza possano apprendere che il lancio del tocco non rappresenta la fine di tutto, ma l'inizio del resto della propria vita.

Posati gli allori sulla mensola meglio illuminata della casa iniziano i veri problemi fatti di posti di lavoro difficili da trovare (e mantenere), di grande competitività in qualunque settore professionale, della necessità di continui aggiornamenti, di capi iniqui e colleghi invidiosi.

Visto da una prospettiva più ampia il problema di non avere superato tutti gli esami all'Università appare in tutta la sua limitata gravità, ma chi lo vive non è attrezzato per gestire il fallimento e prendersi le responsabilità di deludere chi ha investito su di lui.

La mancanza della cultura dell'autonomia

Inoltre c'è da aggiungere che quasi tutti gli studenti che finiscono nel circolo vizioso delle bugie (con gli esiti estremi del suicidio) frequentano l'Università in una città differente da quella d'origine e in Italia è ancora scarsissima la cultura dei ragazzi che studiano e si autogestiscono lontano dal nido di mamma e papà.

Nello spirito anglosassone i giovani già alle superiori tagliano il cordone ombelicale e iniziano a muovere (non senza sbagliare) i primi passi nell'età adulta e nell'autonomia.

Alle nostre latitudini quel momento viene procrastinato quasi al paradosso con uomini di 35, 40 anni che vivono in casa (Mammoni? Disoccupati? Precari? Nati comodi?).

Coloro che a 20, 25 anni si trovano lontani da casa sono quasi mosche bianche dalla scarsa adattabilità che si trovano impreparati a gestirsi, ma troppo orgogliosi per chiedere aiuto.

In un momento storico, poi, dove la vita dei giovani è scandita da like, follower e consenso riflesso e moltiplicato via social network rimanere fermi al palo è un affronto difficile da sopportare e la vergogna del fallimento seduce i più deboli portandoli a decidere di scegliere il gesto estremo del suicidio.

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Barbara Massaro