Ius soli e cittadinanza ai figli di immigrati: la riforma
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Ius soli e cittadinanza ai figli di immigrati: la riforma

Quella fatta da Renzi è una proposta liberale che legittima un'integrazione già esistente e non ha nulla a che vedere con le maglie larghe della Kyenge

Siamo duri, durissimi, con i figli degli immigrati. E morbidi, morbidissimi con i clandestini che arrivano via gommone alimentando il business dei trafficanti di uomini. Ecco perché la proposta di Matteo Renzi, una sorta di “ius soli” temperato per i minori, è liberale e non ha nulla a che vedere con le maglie larghe (la politica dell’integrazione inefficace) alla Cécile Kyenge.

Un ciclo scolastico

La cittadinanza ai figli minorenni di immigrati, a patto che concludano un ciclo scolastico? Renzi l’ha proposta e probabilmente diventerà legge con efficacia dal prossimo anno. Attualmente, l’Italia è tra i paesi con le norme più rigide sulla concessione della “italianità”. Con alcune schizofrenie tipicamente nostrane, che si sono incrostate all’inverosimile negli ultimi tempi: intransigenti coi figli degli immigrati, simpatetici coi clandestini. Il risultato è un corto circuito paradossale, un’oscillazione fra l’approccio delle “braccia spalancate” (se non addirittura i messaggi-incentivo alle traversate della morte nel Mediterraneo col pronto soccorso di Mare Nostrum) e una regolamentazione della cittadinanza per bambini che frequentano da anni le scuole italiane, al limite della violazione dei diritti umani.

Principio liberale

Quel che succede è che a 18 anni ragazzi che parlano romanesco, fiorentino, napoletano, o italiano, e che hanno sempre vissuto in Italia, che si sentono italiani, il cui orizzonte è qui ma appartengono tecnicamente alla “seconda generazione” di immigrati, non sono riconosciuti come italiani e rischiano di non diventarlo mai. Devono dimostrare di aver vissuto senza interruzione in Italia e hanno solo un anno di tempo, al compimento del diciottesimo anno, per richiedere la cittadinanza.
Sia chiaro, lo “ius soli”, la cittadinanza per chiunque nasca sul territorio nazionale, figlio di immigrati, è un principio liberale. Perché non dipende dal sangue (l’opposto dello “ius soli” è lo “ius sanguinis”, l’esser figli di italiani doc), ma dall’appartenenza a una comunità e a tutti i suoi riti e meccanismi civili. È il principio che domina negli Stati Uniti e in Francia, ma anche in modo condizionato in Gran Bretagna. E più liberale di noi è la stessa Germania.

Un milione di seconda generazione

I figli di stranieri in Italia sono integrati (tanto più se concludono un ciclo scolastico) nella loro famiglia e nella loro città, nel “loro” paese che non è quello d’origine dei genitori ma l’Italia. Sono oltre un milione gli stranieri minori di seconda generazione: 6 su 10 sono nati in Italia. Sono tanti, l’8,8 per cento degli alunni a scuola. Siedono al banco accanto ai nostri figli e spesso sono gli alunni migliori, quelli che nelle condizioni statististicamente più disagiate s’impegnano di più, nonostante gli ostacoli.
Essere d’accordo con questa forma ormai ampiamente diffusa di “ius soli” non significa avere una politica morbida con l’immigrazione. Al contrario.

 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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