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AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images -12 febbraio 2018
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La fine dell'Isis

Lo Stato Islamico in Siria sta per cadere. Ma non è morto

La fine dell'Isis sarebbe vicina. Anzi, vicinissima. A sostenerlo è il presidente Donald Trump, che il 15 febbraio ha dichiarato: «Abbiamo parecchi grandi annunci che hanno a che fare con la Siria e con il nostro successo nello sradicamento del Califfato, cosa che sarà annunciato nelle prossime 24 ore». Anche se il 16 febbraio è passato (e non è ancora caduto), l'Isis in Siria controlla ormai soltanto un'area di mezzo chilometro quadrato a Baghouz, nella provincia di Deir ez-Zor.

Nella cittadina sulla riva dell'Eufrate è in corso l'offensiva finale contro il Califfato, che quattro anni fa era arrivato a controllare un'area di 88.000 chilometri quadrati, che andava dalla Siria occidentale all'Irak orientale. Contro le ultime Bandiere nere combattono le Forze democratiche siriane, un'alleanza a maggioranza curda sostenuta dalla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.

Panorama ha chiesto a Fausto Biloslavo che cosa sta succedendo sul campo. Il giornalista di guerra è appena rientrato dalla Siria, dove si trovava con Gabriele Micalizzi, il fotoreporter seriamente ferito da un razzo Rpg e ora ricoverato all'ospedale San Raffaele di Segrate. «Qualche centinaio di combattenti rimasti nella sacca di Baghouz, più o meno 300, combatteranno fino alla morte» spiega Biloslavo, che in questi giorni sta aiutando Micalizzi a tenere i rapporti con i media. «Si tratta delle Bandiere nere più dure: ceceni, russi ma anche europei. Secondo un testimone, un venditore del bazar di Baghouz che sostiene di aver avuto fra i suoi clienti i combattenti europei dell'Isis, fra gli irriducibili ce ne sarebbero pure alcuni arrivati dall'Italia». E gli altri, che fine hanno fatto? «Come scriverò sul numero di Panorama in edicola il 27 febbraio» risponde Biloslavo, «diverse centinaia sarebbero fuggiti con la cassa del Califfo in Irak».

Ma anche se dal punto di vista territoriale sta per essere stato sconfitto in Siria, come è già avvenuto in Irak, lo Stato islamico non è morto. Nel Paese sono ancora attive le cellule del Califfato, che piazzano trappole esplosive. «Di notte non si può viaggiare. E di giorno i curdi devono pattugliare le strade» prosegue Biloslavo. «Ma è anche l'ideologia a essere viva e vegeta. Finché non si risolverà il problema alla base, quest'ideologia che ha attratto 100 mila iracheni, 40 mila volontari stranieri e decine di migliaia di siriani, continuerà a fare proseliti».

Ecco perché il ritiro delle forze statunitensi dalla Siria, annunciato a fine 2018 da Trump, preoccupa gli stessi vertici del Pentagono. Il 15 febbraio, il capo del Comando centrale delle forze armate statunitensi, Joseph Votel, ha dichiarato di non condividere la decisione della Casa Bianca. «Non sarebbe stato il mio consiglio militare in quel particolare momento». E ha aggiunto che il Califfato «ha ancora leader, combattenti, sostenitori, risorse. Quindi la nostra costante pressione militare è necessaria per continuare a dare la caccia a tutta la rete».

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Redazione