Il Primo Ministro Manmohan Singh lo aveva anticipato: chi ha deciso di non far rientrare in India i due militari accusati di omicidio “ha violato le regole diplomatiche e infranto la parola data“, e pagherà per questo. Detto fatto: questa mattina, nel corso dell’incontro in cui l’Ambasciatore Italiano a New Delhi, Daniele Mancini, avrebbe dovuto spiegare la posizione del nostro Paese, la Corte Suprema indiana gli ha imposto di non lasciare il Subcontinente almeno fino al 2 aprile, dichiarando di non riconoscere la sua immunità diplomatica . Una decisione che ha gelato l’Italia e di cui abbiamo cercato di valutare le conseguenze, con l’aiuto di Ida Caracciolo, Professore Ordinario di Diritto Internazionale nella Seconda Università di Napoli.
Può l’India contestare l’immunità dell’Ambasciatore d’Italia in India, Daniele Mancini?
No. Le immunità e i privilegi degli agenti diplomatici sono previste dalla Convenzione di Vienna del 1961 che, nel riflettere il diritto consuetudinario in materia, garantisce agli agenti diplomatici l’inviolabilità personale, la piena libertà di movimento e di comunicazione e l’immunità dalla giurisdizione dello Stato ricevente. Soltanto lo Stato di invio dell’agente diplomatico può rinunciare alle immunità. In mancanza di rinuncia espressa, privilegi e immunità degli agenti diplomatici rimangono vigenti anche in casi eccezionali, quali, ad esempio, un conflitto armato.
Come si può valutare, dal punto di vista giuridico, la decisione di restringere la libertà di movimento dell’Ambasciatore Mancini?
La decisione della Corte Suprema indiana è illegittima e costituisce una violazione della Convenzione di Vienna del 1961. Il diritto internazionale, infatti, deve essere rispettato da tutti gli organi dello Stato, ivi compreso il potere giudiziario. Anzi, le immunità devono essere rilevate ex officio dal giudice nazionale.
Viste le difficoltà di trovare un accordo per risolvere il caso Enrica Lexie, quali possono essere le prospettive di soluzione di questa nuova controversia sulle immunità diplomatiche dell’Ambasciatore Mancini?
La prospettiva è diversa. Nel caso dell’Enrica Lexie la controversia verte su un conflitto tra giurisdizioni che discende dalla violazione da parte dell’India delle norme internazionali relative alla giurisdizione esclusiva dello Stato della bandiera in alto mare e all’immunità degli individui-organi dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni. La soluzione del caso è rimessa a mezzi arbitrali o giudiziari previsti dal diritto internazionale, con particolare riferimento all’arbitrato obbligatorio di cui alla Convenzione ONU sul diritto del mare del 1982.
Invece, con riferimento alla controversia sulle immunità diplomatiche dell’Ambasciatore Mancini, ove l’India dovesse insistere nel disconoscere prerogative e immunità diplomatiche, l’Italia potrebbe adire la Corte internazionale di giustizia in base al Protocollo facoltativo alla Convenzione di Vienna del 1961, ratificato anche dall’India. A tale Protocollo fecero ricorso gli USA nel noto caso del personale diplomatico e consolare preso in ostaggio a Teheran nel 1979.
Un punto di vista, questo, che l’India naturalmente non condivide. Sostenendo, contro ogni regola, che una persona che si impegna con una promessa solenne di fronte a un’istituzione del calibro della Corte Sprema “rinuncia di fatto alla sua immunità e si rende perseguibile nel caso in cui l’impegno preso non venga mantenuto”. Pur nell’impossibilità di trovare anche un solo precedente a sostegno della posizione indiana, resta estremamente difficile prevedere che possa essere individuata una soluzione rapida e indolore per una vicenda che si fa sempre più intricata. E che minaccia di compromettere in maniera significativa i rapporti tra Roma e New Delhi.