Fiume: un secolo fa la Carta del Carnaro
(Ullstein Bild/Getty Images)
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Fiume: un secolo fa la Carta del Carnaro

Nella città occupata, D'Annunzio la scrisse con il socialista Alceste De Ambris. Anticipava aspetti del ventennio fascista ma anche alcune delle più avanzate idee democratiche e libertarie in una delle utopie politiche più interessanti di sempre

Quando la sera dell'8 settembre 1920 le parole auliche di Gabriele D'Annunzio riecheggiarono nel teatro Fenice gremito di autorità civili e militari, di popolo e di legionari accorsi per ascoltare la proclamazione ufficiale della costituzione della Reggenza, le cose nella Fiume occupata dal settembre dell'anno precedente avevano già preso una brutta piega.

Il colpo di mano voluto dal vate e dai suoi soldati per ottenere immediatamente l'annessione di Fiume (città a maggioranza etnica italiana) al Regno d'Italia era stato attaccato dalla diplomazia internazionale e dal Governo italiano, in trattativa con il neonato Regno di Jugoslavia che ne rivendicava l'appartenenza. Quando l'accettazione della soluzione diplomatica fu sottoposta al voto dei cinquantamila abitanti della zona occupata, il Comandante D'Annunzio usò i suoi Legionari e Arditi per ribaltare con la violenza l'esito del plebiscito, risultato largamente favorevole al compromesso. Questa ed altre azioni oltranziste spinsero buona parte dei soldati regolari presenti a Fiume e il Capo di Gabinetto Giovanni Giuriati ad abbandonare la causa, mentre il cambio della guardia tra FrancescoSaverioNitti e il "vecchio" GiovanniGiolitti alla guida del Governo italiano avvenuto il 15 giugno 1920 determinò l'accelerazione della pressione militare sugli occupanti per l'aperta ostilità del nuovo premier nei confronti del colpo di mano che voleva l'annessione diretta di Fiume all'Italia in disprezzo alla diplomazia internazionale.

Mentre la Carta del Carnaro veniva abbozzata, in Italia si vivevano i mesi drammatici del biennio rosso con le fabbriche occupate dagli operai e gli scioperi, costati ulteriore sangue a pochi mesi dall'ecatombe della guerra. Anche il capo del neonato partito fascista Benito Mussolini prendeva le distanze dall'azione del poeta legionario abruzzese (che aveva precedentemente finanziato tramite sottoscrizione de "Il Popolo d'Italia") accettando de facto le trattative italo-jugoslave per uno Stato indipendente di Fiume, allontanandosi definitivamente dall'avventurismo dannunziano giudicato pericoloso per gli sviluppi politici del fascismo.


L'ardire e l'ardore: Fiume e il sogno di una società nuova


Gabriele D'Annunzio, accerchiato e sempre più osteggiato al di là dai confini fiumani, non rinunciò tuttavia al sogno del veggente. Con la Carta del Carnaro volle mettere per iscritto le regole di una società civile nuova ed ideale, nata dalle ceneri e dal sangue della Grande Guerra e umiliata successivamente da quella "vittoria mutilata" imposta dalle grandi potenze ad una giovane e vittoriosa Italia "proletaria". Nel contesto dell'occupazione della città, ottenuta manu militari secondo la prima parte del binomio a lui caro - l'"Ardire"- D'Annunzio concesse spazio entro le mura cittadine al secondo termine assonante con il primo, ossia l"Ardore".
Fu così che nell'estate del 1920 prese forma una delle utopie politiche più interessanti del ventesimo secolo: una summa di princìpi e regole che affondavano le radici nella tradizione, integrate ed affiancate da idee anticipatrici di principi costituzionali che si concretizzeranno soltanto decenni dopo l'impresa di Fiume.
I contenuti della Carta del Carnaro non furono concepiti interamente dal poeta-legionario, il quale fu soprattutto artefice della prosa e degli articoli che riguardavano le arti, la poesia e la musica. I caratteri più strettamente giuridici furono infatti stilati dal socialista rivoluzionario Alceste De Ambris, che aveva raggiunto D'Annunzio a Fiume alla fine del 1919. Toscano della Lunigiana, De Ambris era un deputato socialista con una lunga militanza nel sindacalismorivoluzionario, la cui attività in primo piano durante i grandi scioperi dei primi anni del novecento gli costò per due volte la via dell'esilio. Allo scoppio della Grande Guerra abbracciò la causa interventista leggendo nel conflitto l'opportunità di riscatto contro le grandi potenze tiranniche e coloniali. L'incontro a Fiume con il vate risulterà in un incontro delle idee social-rivoluzionarie con il culto dell'antichità classica dannunziano, di spinte libertarie e democratiche con diversi elementi che si ritroveranno pochi anni dopo nelle fondamenta dello stato fascista. La Carta del Carnaro includeva anche elementi mutuati dalla tradizione medievale dei liberi Comuni e della Signoria (nell'indipendenza, nell'autogoverno e nella conseguente autodifesa). Accanto a questi convivevano retaggi della Grecia classica e della Roma repubblicana, come la possibilità di ricorrere alla forma dittatoriale (limitata a sei mesi) in caso di pericolo per lo Stato, così come la modalità di voto per alzata di mano nella pubblica piazza, evolutasi nella tradizione medievale nell'"arengo".

La parte della costituzione riguardante gli aspetti "spirituali" che avrebbero dovuto forgiare l'"homo novus" nell'esperimento fiumano, sono appannaggio del percorso culturale ed estetico di D'Annunzio. In particolare gli articoli che riguardano le arti e il loro sviluppo hanno una posizione decisamente preminente nella carta, tanto che il nome dello Stato indipendente, la "Reggenza del Carnaro", fu scelto in quanto metricamente un endecasillabo. La cultura popolare rappresentava secondo il vate un baluardo contro secoli di usurpazione da parte dello straniero incolto, l'ultimo avamposto della tradizione dantesca affacciata sull'Adriatico a difesa della libertà. L'istruzione di conseguenza doveva essere fruibile da tutti nelle scuole di Belle Arti e Musica previste tra le mura della città assieme ad una "libera Università" della città del Carnaro. L'ordinamento scolastico teneva conto delle diversità etnico-linguistiche che caratterizzavano la popolazione fiumana, mentre ogni simbolo religioso (crocifisso compreso) era bandito dalle aule. Nonostante l'iconoclastia negli spazi dedicati all'istruzione, tra le righe della Carta di Fiume erano garantite la libertà di culto e quella linguistica. Ma l'impianto anticipatore delle moderne democrazie era rappresentato dall'istituzione del suffragio universale e dei pari diritti per uomini e donne, che potevano eleggere ed essere eletti a partire dal compimento del ventesimo anno. Anche gli articoli riguardanti i rapporti tra lo Stato e il lavoro risultavano futuristici e rispecchiavano pienamente l'esperienza rivoluzionaria dell'autore Alceste de Ambris. Il risultato fu una commistione tra principi mutuati dal bolscevismo e dal marxismo con la tradizione corporativa comunale (diversa però da quella struttura corporativa che il fascismo varò con la Carta del 1927, caratterizzata da una struttura autoritaria e burocratizzata). E altrettanto rivoluzionari apparivano gli articoli riguardanti il lavoro, che come nella Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 era posto come fondante l'ordinamento di uno Stato che poneva al centro il cittadino. Anche in questo caso si sentivano gli echi del sindacalismo rivoluzionario di De Ambris, pur senza spingersi fino alla collettivizzazione dei mezzi di produzione di stampo bolscevico. Riconoscendo il diritto di proprietà, questo non era considerato come dominio assoluto della persona sopra la cosa ma lo vincolava alla sua utilità sociale, regolata e controllata dalle corporazioni che comprendevano oltre che i salariati anche i datori di lavoro, di fatto controllati dallo Stato. La Carta del Carnaro infine concedeva ampia autonomia alle istituzioni locali, e prevedeva l'istituzione di un porto franco nella città di Fiume.


Il risveglio dal sogno: il Natale di sangue


Dopo la sua proclamazione, la Carta del Carnaro con tutti i suoi principi anticipatori di uno stato libertario non fu mai posta in atto durante gli ultimi tre mesi dell'occupazione di Fiume da parte di D'Annunzio e dei legionari. Il motivo della mancata applicazione dell'utopia fu dovuto al precipitare degli eventi culminato nella firma definitiva del trattato di Rapallo il 12 novembre 1920, che stabilì l'istituzione di uno Stato libero di Fiume collegato all'Italia da una striscia costiera. Il Comandante D'Annunzio rifiutò in toto le clausole, insistendo per un'annessione incondizionata all'Italia e in tutta risposta occupò militarmente le isole di Cherso e Veglia, già assegnate al neocostituito Regno di Jugoslavia. Il dittatore di Fiume ordinò la difesa ad oltranza del territorio mentre i confini venivano circondati dal Regio Esercito comandato dal generale Enrico Caviglia. Dopo un ultimatum di 48 ore ignorato da D'Annunzio, la vigilia di Natale del 1920 fu sferrato l'attacco sia da terra che dal mare, con la nave della Regia Marina "Andrea Doria" che aprì il fuoco sulla cittadina centrando in pieno il palazzo del Governo. Alla fine degli scontri si contarono 53 morti tra militari e civili e il "Natale di sangue" si concluse il 31 dicembre con la resa di D'Annunzio e dei Legionari. Il padre della Carta del Carnaro riparò a Venezia portando con sé il sogno di una società nuova, contenuto nelle pagine della Carta oggi conservate al Vittoriale. Alceste de Ambris rientrò dall'esperienza di Fiume cercando di perpetuare l'esperienza di reduce del Carnaro come antitesi all'espansione del fascismo con la creazione di una lista politica indipendente che fallì. Venuto allo scontro con lo squadrismo, fu esule volontario in Francia dove si spense nel 1934 nonostante i tentativi di Mussolini di riaverlo in Italia con un posto di responsabilità nelle Corporazioni fasciste.

La città di fiume nel 1920 (G.Rinhardt/Corbis/Getty Images)


Il testo comparato delle stesure originali di De Ambris e D'Annunzio, analizzato e commentato, è presentato nel libro "La Carta del Carnaro e altri scritti su Fiume" (Castelvecchi editore, a cura di Marco Fressura e Patrick Karlsen).

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Edoardo Frittoli