Epatite C: ecco i nuovi farmaci che guariscono completamente dal virus
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Epatite C: ecco i nuovi farmaci che guariscono completamente dal virus

Presentati nuovi studi sull’impiego di una “tripletta” di molecole che apre nuove prospettive per curare tutti i genotipi di HCV

La rivoluzione per debellare il virus dell’epatite C (HCV) è alle porte: entro il 2016 infatti saranno disponibili nuovi regimi terapeutici in grado di guarire i pazienti affetti da questa patologia in sole dodici settimane con un ampio profilo di efficacia e tollerabilità.

Merito dello sviluppo di una nuova classe di farmaci, a base di molecole di agenti antivirali diretti: oltre a un trattamento di breve durata, unito alla semplicità di una somministrazione in monodose giornaliera, gli antivirali diretti permettono per la prima volta di evitare l’uso nella terapia di interferone e ribavirina, farmaci usati nell’ultimo decennio come unica cura contro l’HCV, ma che spesso si sono dimostrati inefficaci (e con effetti avversi) in alcune categorie di pazienti.

Due in uno: la combinazione dei nuovi farmaci

Al “The Liver Meeting”, l’annuale congresso dell’American Association for the Study of Liver Disease tenutosi dal 12 al 18 novembre a San Francisco, sono stati presentati i risultati di diversi studi che provano l’efficacia della combinazione di grazoprevir/elbasvir (due molecole sviluppate dalla farmaceutica Msd), in una vasta popolazione di soggetti, inclusi i pazienti con cirrosi, con co-infezione HIV-HCV, con insufficienza renale terminale o che hanno fallito precedenti regimi terapeutici.

Il virus è stato completamente eradicato nel novanta per cento dei pazienti, tanto da permettere ai due farmaci di ottenere dalla FDA (l’ente americano per il controllo dei medicinali) la designazione di terapia innovativa e, di recente, il via libera di EMA (l’ente europeo dei farmaci) con procedura accelerata alla domanda di autorizzazione all’immissione in commercio.

Di cosa si tratta esattamente? Grazoprevir è un inibitore della proteasi, che blocca cioè la scissione degli enzimi che replicano il virus, mentre elbasvir è diretto contro la proteina NS5A, anch’essa coinvolta nei processi vitali dell’HCV.

“L’efficacia e la sicurezza di grazoprevir/elbasvir sono state investigate in tutte le categorie di pazienti, anche in quelli ‘difficili’ da trattare” afferma Savino Bruno, Professore Straordinario di Medicina Interna alla Humanitas University Medicine di Rozzano (Milano). “Al 31 ottobre in Italia sono state curate venticinquemila persone (compresi soggetti in dialisi) con l’associazione dei due farmaci assunti in una singola pastiglia una volta al giorno per dodici settimane con tassi di risposta virologia sostenuta (cioè la scomparsa del virus) compresi trai il 92 e il 97 per cento”.

La strategia di cura dell’HCV in Italia

“Ora bisogna intervenire al più presto possibile per coprire i costi” sostiene il professor Bruno. “Entro il 2016 prevediamo di applicare la terapia a cinquantamila soggetti con cirrosi o fibrosi e in seguito ad altre duecentocinquantamila persone” spiega Antonio Craxì, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo.

“Questa politica è dettata dall’elevato costo della terapia: ecco perché si darà la precedenza a chi ha già il fegato malato”. Aggiunge Bruno che “inoltre più cirrotici si guariscono più si liberano fegati per trapianti per altre malattie”.

Ma in Italia quanti sono i soggetti affetti da epatite C? “Non lo sappiamo esattamente” dice Craxì “disponiamo di dati abbastanza vecchi e ciò comporta il solito balletto delle cifre: si stima che gli infettati siano compresi tra quattrocentomila e un milione. Quel che è certo sono i numeri dei decessi: ogni anno muoiono dodicimila persone per cirrosi e cancro del fegato”.

Si conosce molto bene invece l’identikit dei tipici malati di HCV in Italia: sono pazienti vecchi, infetti da molto tempo e prevalentemente col genotipo 1B (il virus dell’epatite ha infatti diverse varianti genetiche). “Nel nostro Paese l’epatite C è stata contratta tra gli anni ’60 ed ’80 dello scorso secolo” spiega Crazì “quando negli ospedali, studi dentistici e medici non c’era ancora l’adeguata profilassi perché non si conosceva il virus: per esempio le siringhe di vetro che si usavano un tempo sono state dei veicoli di trasmissione potentissimi. Ecco perché oggi la prevalenza dei malati ha più di 65 anni”.

Epatite C e malattie renali: si può guarire

Servono dunque farmaci innovativi: vinta la sfida dell’efficacia, si presenta quella della maneggevolezza e tollerabilità. In altre parole, c’è bisogno di medicinali da poter somministrare anche ai malati di reni e con altre patologie. “La combinazione grazoprevir/elbasvir offre possibilità di trattamento anche a pazienti con insufficienza renale cronica” dice Gloria Taliani, Professore Ordinario di Malattie Infettive alla Sapienza Università di Roma.

“La farmacocinetica di grazoprevir/elbasvir infatti è tale che meno dell’un per cento dei farmaci è escreto dai reni e ciò consente un’ottima tollerabilità anche nei soggetti in dialisi”. I pazienti possono così accedere più velocemente alla lista dei trapianti: “negli Stati Uniti si è passati dai 7 anni di attesa a sole 17 settimane” afferma Craxì.

“Uno studio di modeling matematico, basato su dati di storia naturale senza trattamento e su dati di efficacia di grazoprevir/elbasvir in pazienti con malattia renale cronica e infezione da HCV genotipo 1, ha evidenziato una riduzione del rischio di incidenza di scompenso epatico nel corso della vita dal 22% al 3.8%, una riduzione del rischio di carcinoma del fegato dal 26% all’1%, un incremento dell’attesa di vita da 18 a 26 anni ed una riduzione della mortalità attesa per malattie di fegato dal 35.7% allo 0.3%” ha annunciato la dottoressa Taiani.

In arrivo la “tripletta” e addio ribavirina

Nonostante gli straordinari risultati apportati dall’introduzione della combinazione grazoprevir/elbasvir, la ricerca non si è fermata: anzi, nella lotta contro l’epatite C questa associazione molecolare rappresenta il punto di partenza e non di arrivo.

Infatti ricercatori e scienziati si pongono ora traguardi sempre più avanzati da raggiungere. Per esempio ridurre il trattamento a sole otto settimane ed eradicare anche il genotipo 3 (geograficamente diffuso in Asia e Africa).

Così la combinazione grazoprevir/elbasvir potrà evolvere nella “tripletta”, un regime a tre farmaci, costituito da molecole di nuova generazione, ancora in fase sperimentale, come MK-8408, un nuovo inibitore di NS5A, farmaco che sta mostrando nei primi studi potenza ed efficacia superiori ad elbasvir, e MK-3682, potente inibitore di nuova generazione della polimerasi NS5b del virus.

Per testare le potenzialità della “tripletta” è stato allestito da Msd lo studio clinico C-CREST di fase due su duecentoquaranta pazienti con vari genotipi di HCV. “C-CREST ha esplorato l’efficacia e la sicurezza della combinazione grazoprevir/elbasvir con un terzo farmaco, MK-3682. La “tripletta”, affrontando il virus in tre differenti siti di replicazione, ha raggiunto un’efficacia terapeutica piuttosto alta con la capacità di coprire tutti i genotipi di HCV” sottolinea Antonio Craxì “in particolare, nel genotipo 3 si è ottenuto il 90-91% di eradicazione di HCV, una percentuale decisamente più elevata di quanto ottenibile da qualunque combinazione di antivirali diretti attualmente disponibile per l’uso clinico. Da segnalare altri due punti a favore della tripletta: la combinazione funziona a livelli ottimali di risposta con cicli di otto settimane di cura, dunque con una durata del 30% inferiore ai regimi attualmente impiegati”.

E soprattutto non richiede più alcun uso della ribarivina “un farmaco tossico e difficile da gestire” spiega Carlo Federico Perno, Professore di Virologia all’Università Tor Vergata di Roma, che spesso “provoca anemie e richiede di intervenire con trasfusioni”. Che aggiunge “oggi i dati relativi all’efficacia di grazoprevir/elbasvir suggeriscono che potremo trattare la maggioranza dei pazienti senza l’uso di ribavirina e senza i suoi sgradevoli effetti collaterali: si aprono nuovi possibili scenari di efficacia senza la tossicità della ribavirina e dell’interferone, anche per i pazienti più difficili della nostra pratica clinica”.

Resistenze farmacologiche

Proprio ai pazienti che hanno fallito terapie con interferone e ribarivina (e anche a trattamenti senza interferone) è particolarmente indicato l’uso della “tripletta”. “Tutti i germi generano resistenze” dice Carlo Federico Perno “oggi per esempio c’è un’alta mortalità per batteri e virus che un tempo curavamo con la penicillina: nell’HCV si possono sviluppare resistenze che ‘bruciano’ tutta una classe di farmaci, ecco perché bisogna usare quelli migliori all’inizio della terapia” sostiene il professore.

Il nuovo cocktail di farmaci è stato testato infatti anche su soggetti che non hanno ricevuto benefici dalla terapia tradizionale. “Bisogna recuperare anche questi pazienti” ammonisce il professor Bruno “e per questo la ricerca farmacologica è in continuo sviluppo e prosegue in nuove direzioni”.

I costi della terapia

“Il governo ha stanziato per i prossimi anni circa un miliardo di euro per utilizzare i nuovi farmaci” afferma Craxì “ma è evidente che è una cifra esigua per poter curare tutti i malati”.

“Non abbiamo né forse avremo mai un vaccino contro l’HCV” dice Carlo Federico Perno “ma di HCV, al contrario dell’epatite B, si può guarire: però non possiamo, a causa dei costi, permetterci di curare tutti gli infetti. Eppure, se ci fossero i fondi necessari, si potrebbe eradicare completamente il virus così come è stato fatto per la poliomielite”. Dunque la soluzione sarebbe “quella di abbassare il costo dei farmaci, e la competizione tra i vari produttori potrebbe produrre tale diminuzione”.

Abbiamo quindi chiesto al professor Perno come vede la situazione tra cinque anni: “dopo aver curato i cirrotici e le persone con gravi patologie al fegato rimarranno da trattare i soggetti infetti da HCV che non presentano sintomi, quel campione di popolazione over 65 che ha contratto il virus decenni fa”. Ma sarà possibile cancellare completamente il virus? “È un discorso non tanto medico (sappiamo che i farmaci funzionano) quanto economico: ora in Africa un kit per l’Hiv costa solo trecento euro; se nel mondo occidentale si riuscisse a portare a questi costi i trattamenti per l’HCV (che oggi comporta una spesa al servizio sanitario di 30.000 euro a paziente) allora davvero si potrebbe eradicare definitivamente il virus”.

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Angelo Piemontese

Sono nato a Pavia dove mi sono laureato in Fisica. Attratto dall'intrigante connubio tra scienza e scrittura, ho quindi conseguito la specializzazione post accademica in giornalismo scientifico e ho collaborato con le principali riviste del settore, soprattutto in ambito astronomico. Racconto le meraviglie del cielo con i piedi ben piantati a terra, ma anche storie di scienza, medicina e natura.

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