Elezioni di midterm: i repubblicani sognano la doppietta
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Elezioni di midterm: i repubblicani sognano la doppietta

La posta in palio nel voto di martedì 4 novembre è l'agibilità politica della Casa Bianca: se il Gop conquista anche il Senato Obama rischia di diventare un'anatra zoppa

Martedì prossimo, il 4 novembre, l’America vota per l’elezione di 33 senatori – un terzo dei seggi totali – e per il rinnovo dell’intera Camera dei deputati. Al momento i due rami del Congresso sono divisi fra i partiti principali: i repubblicani controllano la Camera e i democratici il Senato. Per quanto riguarda la Camera, il midterm non dovrebbe portare novità sostanziali, tutt’al più un incremento della maggioranza conservatrice. La battaglia che conta è al Senato, dove i repubblicani hanno la possibilità di fare il colpo grosso, prendendo l’intero Congresso e dirigendo l’orchestra legislativa negli ultimi due anni di governo di Barack Obama.

L’analista Nate Silver dice che i repubblicani hanno il 61 per cento di probabilità di prendere il Senato, mentre The Upshot, la sezione delle analisi elettorali del New York Times, concede al Gop una decina di punti percentuali in più. Significa, ad ogni modo, che la destra gioca in attacco e la sinistra in difesa, come nel 2010, quando l’ondata del Tea Party ha trascinato la conquista della Camera. Ci sono nove sfide da tenere d’occhio, e fra queste particolarmente calde sono Colorado, Georgia, Iowa, Kansas e North Carolina, dove i repubblicani potrebbero mettere insieme alcuni dei sei seggi di cui hanno bisogno per raggiungere la maggioranza semplice. La maggioranza qualificata di sessanta seggi, che permette di superare l’ostruzionismo parlamentare, appare fuori portata. Rimangono poi Arkansas, Louisiana, New Hampshire, Alaska; discorso a parte merita il Kentucky, dove il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, appare leggermente in vantaggio sulla sfidante Alison Lundergan Grimes, sostenuta dalla macchina elettorale dei Clinton. McConnell ha dalla sua una macchina elettorale raffinata in trent’anni di carriera, dunque assai ostica da sconfiggere, ma quella del Kentucky rimane la sfida più densa di simboli in questa tornata.

Come molti altri candidati repubblicani, anche la 35enne Grimes, figlia di un importante politico locale, ha deciso di giocare l’intera campagna elettorale sull’allontanamento dal messaggio di Barack Obama, leader in crisi di popolarità dal quale quasi tutti i candidati democratici si sono smarcati. Soprattutto negli stati rurali, repubblicani per spirito e cultura, la sinistra ha cercato di darsi un’immagine appetibile per l’elettorato: non è raro trovare democratici che fanno campagna per il diritto al possesso deregolamentato di armi da fuoco o a favore di nuove trivellazioni petrolifere. Nulla a che vedere con la linea della Casa Bianca. Il presidente ha visitato soltanto uno degli stati in cui si gioca una partita potenzialmente interessante (ma non fra quelle più combattute), il Michigan.

Gli altri candidati hanno fatto sapere alla Casa Bianca che una visita presidenziale non sarebbe stata affatto gradita e Obama, leader famigliare con i complessi calcoli della scienza elettorale, ha diligentemente obbedito. In queste ore alla Casa Bianca la domanda fondamentale non riguarda l’esito delle elezioni, ma si ragiona sul “worst case scenario”: cosa succederà negli ultimi due anni di governo se i repubblicani conquistano anche il Senato? Le teste d’uovo democratiche stanno già cercando un modo per rovesciare la frittata, sostenendo che due anni di responsabilità repubblicana al Congresso forniranno ai democratici molte cartucce da sparare poi alle elezioni del 2016, quando correrà – o forse no, ma non si vede perché no – l’inevitabile Hillary Clinton.
 
 

Obama al voto nelle elezioni di mid-term

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Il presidente Obama riceve la sua carta elettronica per votare nelle elezioni di midterm al US Martin Luther King Community Service di Chicago, Illinois

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Mattia Ferraresi