Sviluppo sostenibile e crescita verde: perché sarebbe un bluff
Economia

Sviluppo sostenibile e crescita verde: perché sarebbe un bluff

Ci stanno facendo credere che il Pil globale possa aumentare diminuendo l'impatto ambientale, ma uno studio dice il contrario

E se dietro i concetti di sviluppo sostenibile e "crescita verde" ci fosse un contro senso semantico? Se non fosse vero che ridurre l'impatto ambientale della produzione industriale sia sufficiente a evitare il collasso del medio ambiente?

E se tutto quello che ci han fatto credere fino a oggi in fatto di energia pulita fosse solo un bluff per spostare il problema ambientale attuando la cosiddetta distrazione di massa? 

EEB: Pil e impatto ambientale, un nesso inscindibile

Secondo l'ultimo rapporto dello European Enivronmental Bureau (EEB) credere che il Pil mondiale possa salire rispettando l'ambiente e quindi riducendo l'impatto climatico della produzione industriale significa dar fiducia a una delle più grandi truffe delle quali l'umanità abbia ricordo.

Negli ultimi 20 anni le istituzioni a livello mondiale hanno riconosciuto i rischi che comporta la crescita economica del mondo globalizzato che impone una crescita produttiva costi quel che costi per mantenersi competitivi sul mercato.

L'iperproduttività economica, però, danneggia la biosfera che non è infinita ed è sempre più vicina al collasso. Per evitare che la Terra ci muoia tra le mani governi e istituzioni supportate da studi, analisi e dossier stanno favorendo il cosiddetto sviluppo sostenibile che parte dal presupposto che se si riduce l'impatto ambientale si può mantenere alta la produzione

Secondo il rapport EEB invece queste premesse sono false e fuorvianti perché per quanto si possa puntare sulla crescita verde il vero problema è la quantità di produzione industriale che va rivista e calmierata.

Come salvare il pianeta

European Enivronmental Bureau è una rete formata da oltre 143 organizzazioni con sede in più di 30 Paesi che ha condotto il primo studio empirico e teorico sul tema. Uno studio che, se confermato e se preso in considerazione, potrebbe essere la base scientifica per attuare quella rivoluzione copernicana in tema sviluppo-ambiente che dovrebbe aprire la strada a un'inversione a U della globalizzazione. 

Secondo il team internazionale dei ricercatori per far sì che la Terra non si trasformi nella tomba dell'umanità bisogna ridurre la produzione di beni e servizi e tornare a un'economia della sufficienza.

In pratica sostengono che per salvare il pianeta dobbiamo rinunciare al concetto stesso di economia globalizzata. Dati alla mano gli studiosi dimostrano che qualsivoglia politica tesa allo sviluppo sostenibile, alla crescita verde e alla riduzione dell'impatto ambientale non abbia mai generato gli effetti sperati e il progresso economico non si sia mai scollato dal degrado ambientale. Nello studio vengono citati i casi più eclatanti. 

Il falso "disaccoppiamento"

Già nel 2001 l'OCSE parlava di "disaccoppiamento" tra crescita economica e ambiente teorizzando il concetto chiave di "sviluppo sostenibile".

Da allora tutte le principali istituzioni mondiali si sono messe in scia con programmi d'azione volti a tutelare l'economia, ma nello stesso tempo a proteggere l'ambiente: lo han fatto l'Unione Europea, l'ONU, addirittura la Banca Mondiale tutti certi che la crescita del Pil potesse continuare nel rispetto dell'ambiente.

Lo studio dell'EEB invece dice: "Non solo non ci sono prove empiriche a sostegno dell'esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni ambientali in misura anche solo vicina a ciò che servirebbe per affrontare il collasso ambientale, ma, e forse è ancora più importante, sembra improbabile che tale disaccoppiamento si verifichi in futuro".

Perché lo sviluppo sostenibile (così com'è) non serve

Sono sette i punti portati a supporto di questa tesi che parte dall'assunto che perché la crescita sia davvero "sostenibile" dovrebbe esserlo in maniera assoluta e non relativa come è adesso.

Questo significa che materie prime, energia, acqua, gas serra, terra, inquinanti idrici e perdita di biodiversità dovrebbero essere compensati in maniera duratura e non geolocalizzata e momentanea.

Questo, però, non accade e per dimostrarlo gli studiosi sottolienano sette punti. Il primo è l'aumento della spesa energetica: più le risorse del sottosuolo diminuiscono più diventa dispendioso estrarle aumentando l'impatto ambientale dell'operazione. In secondo luogo i ricercatori di EEB parlano di "effetto rimbalzo" che riguarda l'aumento dell'utilizzo di un determinato elemento a basso consumo. L'esempio citato è quello dell'auto elettrica: è vero che consuma di meno, ma la si usa di più e quindi l'uso compensa la diminuzione di impatto ambientale con gli eventuali benefici che ne sarebbero derivati.

Spesso inoltre affrontare la questione ambientale è solo un modo per spostare il problema da un punto all'altro. Sempre tornando all'esempio dell'auto ecologica: è vero che non va a benzina, ma per produrla e alimentarla si stanno intaccando le riserve minerarie mondiali di litio rame e cobalto.

Viene poi citato il riciclo dei rifiutie si sottolinea come riciclare non basti: bisogna proprio diminuirne la produzione.

Lo studio, infine, evidenzia come delocalizzare la produzione industriale sia solo un altro modo per spostare in un "altrove" un problema che riguarda tutti noi su scala globale e lo sviluppo di tecnologie davvero dalla parte dell'ambiente sia là da venire.

Per attuare la vera rivoluzione green c'è poco tempo: 30 anni a essere ottimisti. Il metabolismo del pianeta è sempre più lento e in gioco c'è la sussistenza stessa del genere umano.

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Barbara Massaro