Luigi Zingales, il Manifesto Capitalista e il no alla politica
Economia

Luigi Zingales, il Manifesto Capitalista e il no alla politica

Intervista all'economista che dalle pagine del suo ultimo libro lancia il suo programma etico ed economico. E aggiunge: "Io non faccio politica. Semmai, la aiuto"

Il suo libro "Manifesto capitalista" è ormai considerato alla stregua di un programma elettorale. E a Luigi Zingales e al suo pensatoio tecnico Fermate il declino il Wall Street Journal accredita un possibile consenso elettorale del 20 per cento. Si candida Zingales? Con chi si allea? L'ormai noto professore di di Impresa e Finanza alla Booth School of Business dell'Università di Chicago con Phd al Mit di Boston non è ancora così esplicito. Si limita a risollevare la "questione morale" nella politica come nell'economia e una rivoluzione che passa attraverso liberismo meritocratico e la cancellazione di lobbies, clientele, deregulation. Si può fare? "Sì, a partire da un sistema legislativo semplice e chiaro". A scrivere nuove leggi però, sarà chi siederà in Parlamento e a Palazzo Chigi dopo Mario Monti.

Cominciamo da un bel risultato: il Wall Street Journal ha scritto che il suo gruppo “economisti contro il declino” potrebbe addirittura ottenere un buon 20 per cento. Cosa vuole dire, che gli italiani si sarebbero abituati ai tecnici, fonte di competenza?
No, la politica, quella seria, ha un ruolo importante.

Sta molto male, però. Lei come si pone?
Io direi che quello degli italiani è un desiderio che va oltre la voglia di competenza. È il desiderio di appartenenza a una comunità operosa, etica, propositiva che io credo possa essere rappresentata da un Movimento liberista e democratico, serio. Che sappia muovere all’azione ridando fiducia nel cambiamento.

Il cambiamento lo aspettiamo dai tempi del Gattopardo. E oggi non riusciamo nemmeno più a dire se sia più corrotta la politica o l’economia. Non soltanto quella italiana….
Perché il sistema è involuto. Invece di avere un economia competitiva abbiamo l’economia delle clientele e delle lobbies, protetta da una illegalità diffusa. Interessata soltanto a perpetuare se stessa.

Nel suo libro lei pone una nuova questione morale: liberismo meritocratico contro il capitalismo selvaggio e il governo dei peggiori. Come?
Cominciamo a fare le cose più semplici. A scrivere poche e chiare leggi. E a farle rispettare. Magari cambiando in massa i dirigenti dello Stato, che in anni e anni di inamovibilità hanno costruito le loro clientele di interessi, facendo affari e inciuci. Vede, io non posso credere che un Paese che non sa metter in galera i suoi criminali possa investire e promuovere biotech, tecnologia e ricerca avanzata.

Via gli alti dirigenti statali? Una rivoluzione…
Il mio gruppo sta facendo un suo studio sulla Spendig Review da cui emerge che soltanto introducendo il meccanismo delle aste a competizione si potrebbe risparmiare il 15 per cento. Cosa sceglie?

Non le piace il decreto per lo sviluppo del Ministro Passera, neanche il progetto ministeriale per le Start-up o l’Agenda digitale ?
Il governo Mario Monti sta all’Italia come Enrico Bondi sta alle imprese in crisi. L’azienda va male? Chiamiamo Bondi che rimette a posto i conti, ma poi non sviluppa e non rilancia. Purtroppo il tecnico non ha né il tempo né il mandato politico per farlo, ma non possiamo continuare ad essere governati da Francoforte.

Non va nemmeno la riforma dell’articolo 18 , destinato a sbloccare mercato e competitività ingessati?
Non penso che la riforma porti miglioramenti. Ma la colpa del nostro nanismo industriale non è solo dello statuto dei lavoratori. È colpa del fatto che l'assenza di legalità rende difficile alle imprese crescere.

Nel suo libro “Manifesto Capitalista” lei dice: sostituire al capitalismo finanziario un liberismo meritocratico. E intanto come ci si sottrae alla mercatocrazia, alla dittatura dei mercati?
Mi dispiace, ma si torna sempre alla questione morale che nessun partito può più permettersi di porre perché è diventato ormai organico al sistema. Il mercato di per sé non è negativo. Lo stesso Einaudi diceva che il mercato è come la fiera di Paese, bisogna sempre che ci siano i carabieri per mantenere ordine, ed è vero. Lo Stato, la regolamentazione semplice ed efficace, è proprio questo. La tanto detestata parola “speculazione” in realtà ha una sua funzione: mostra ciò che va cambiato, ciò che è fragile, il flusso delle informazioni finanziarie.

Lo Stato? Strana parola per un liberista.
Essere statalisti in Svezia è una tradizione, esserlo in Italia oggi è masochismo. Ma ci vogliono delle regole. Nemmeno il liberismo selvaggio può funzionare da solo, i suoi limiti li ha mostrati tutti.

Parlare di etica con riferimento ai quattrini è quasi un ossimoro. Lo stesso vale per l’evasione fiscale. Come si fa a imporre questa svolta etica e culturale?
Le faccio l’esempio della Barilla. Quando l’azienda si trovò ad affrontare il problema dell’assenteismo al sud che minava la produzione, non chiuse lo stabilimento di Foggia, ma preferì inviare un manager capace. Che fece due cose: prima spiegò l’impatto che l’assenteismo aveva sui costi e sulla produzione, rendendo partecipi i lavoratori dei rischi e delle necessità. Quindi, creò le condizioni perché gli assenteisti e i medici che firmavano i loro falsi certificati di malattia venissero esposti alla vergogna sociale. Ha funzionato. Lo stabilimento di Foggia è diventato più produttivo di quello di Parma.

Funzionerà anche nel Paese dei furbi?
Sì, se facciamo vedere che pagano in prima persona.

Esempio. Come convinciamo i liberi professionisti e i ricchi a pagare tutte le tasse ?
Negli Usa ci sono moduli semplici da compilare per la dichiarazione dei redditi, noi abbiamo leggi fiscali arzigogolate e scritte apposta per dare lavoro ad avvocati e commercialisti. Semplificazione e certezza della sanzione. E modelli positivi, meritevoli. Vede oggi abbiamo Internet, che favorisce un’informazione e una consapevolezza più diffuse. È possibile.

È per questo che recentemente ha attaccato i banchieri di Intesa SanPaolo?
No, io ho semplicemente chiesto coerenza. Se il presidente Giovanni Bazoli dice che la sua banca non risponde a logiche di mercato, ma ha come obiettivo il benessere sociale, voglio che mi spieghi (e soprattutto spieghi al mercato) cosa intende. È responsabilità sociale nominare sua figlia allla presidenza di un'impresa concorrente in cui lui sedeva fino a pochi giorni fa?

Nel libro lei dice: ripartiamo dai giovani, dalle donne, dagli immigrati. Chiede moralizzazione. Abbiamo Matteo Renzi del Pd che è giovane. E Beppe Grillo con il Movimento 5 Stelle che fa il moralizzatore. Chi sceglie come alleato?
Renzi mi piace e condivido ciò che dice. Purtroppo sta in un partito che non concorda appieno con le sue idee. E poi c’è un Massimo D’Alema, di cui non mi fido. Se Renzi vincerà le primarie e libererà il PD dalla vecchia sinistra statalista noi saremo i primi a sostenerlo.

Grillo il capopolo?
Siamo seri. Pensiamo un po’ se venisse eletto. Il suo populismo è soltanto contro. Non propositivo. E le competenze? E le regole? E la visione?

"Economisti contro il declino" con chi sta, oggi?
Io sono un convinto uninominalista, perché nei comuni ha funzionato e favorito l’alternanza. Comunque “Economisti per il declino” non sfrutta l’onda di favore verso i tecnici per fare politica. Mettiamo a disposizione la nostra competenza, senza alcun interesse nascosto. Vedremo. Quello che serve è un leader giovane, con una visione, che abbia un lungo e legittimo mandato politico.

Il presidente di Confidustria Giorgio Squinzi dice: ripartiamo dalla manifattura. Altri dicono, la Borsa ha dimostrato i suoi limiti bisogna ripartire dal capitalismo e dalle aziende familiari. La sua opinione?
Io dico che le aziende familiari vanno bene se non sono troppo piccole e quindi inadatte oggi a competere su vasta scala. Per il resto, farei decidere al mercato che vede molto meglio di noi.

In che senso?
Io insegno a Chicago imprenditoria e finanza, ma quando alcuni studenti mi parlarono di “relational software” io dissi: ma come ci fate i soldi? Non avevo capito nulla. Perché si trattava della base dei social network come Facebook. Altro esempio: i venture capital fiutano un business su tre quando va bene. È il mercato che sa tutto. Certo, bisogna creare le condizioni. Magari riducendo il peso fiscale e spostandolo dal lavoro ai consumi e al patrimonio.
Adesso o mai più.

Una crisi ci salverà. Ma a che prezzo?
Non sarà una passeggiata. Ma se sai dove andare e se hai speranza, anche se stremato, arrivi.

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Antonella Bersani

Amo la buona cucina, l’amore, il mirto, la danza, Milan Kundera, Pirandello e Calvino. Attendo un nuovo rinascimento italiano e intanto leggo, viaggio e scrivo: per Panorama, per Style e la Gazzetta dello Sport. Qui ho curato una rubrica dedicata al risparmio. E se si può scrivere sulla "rosea" senza sapere nulla di calcio a zona, tennis o Formula 1, allora – mi dico – tutto si può fare. Non è un caso allora se la mia rubrica su Panorama.it si ispira proprio al "voler fare", convinta che l’agire debba sempre venire prima del dire. Siamo in tanti in Italia a pensarla così: uomini, imprenditori, artisti e lavoratori. Al suo interno parlo di economia e imprese. Di storie pronte a ricordarci che, tra una pizza e un mandolino, un poeta un santo e un navigatore e i soliti luoghi comuni, restiamo comunque il secondo Paese manifatturiero d’Europa (Sì, ovvio, dietro alla Germania). Foto di Paolo Liaci

Scrivimi a: antbersani@alice.it

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