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(Ansa)
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Servono i dissalatori contro la siccità, ma non si fanno e non se ne parla

L'acqua è una risorsa sempre più preziosa e rara. Servirebbero strutture di cui siamo leader mondiali tecnologicamente parlando ma continuiamo a non voler vedere le cose

Il periodo di siccità appena vissuto dall'anno scorso a questa primavera ha riacceso l’interesse verso i dissalatori per l’acqua marina. Del resto con oltre settemila chilometri di coste, con la tecnologia che esportiamo in tutto il mondo, specialmente in quello arabo, logica vorrebbe che come Malta anche l’Italia avesse almeno qualche impianto pronto per i momenti più complicati. In realtà non è così semplice e anche il processo che permette di ripulire l’acqua marina e renderla dolce fino a essere potabile risente del costo dell’energia necessaria per far funzionare gli impianti stessi. Tanto che, facendo due conti in modo meno approssimativo possibile, è probabile che un metro cubo di acqua, quindi mille litri, arriverebbe a costare tre o quattro euro contro poco più di un euro (1,1 circa) che è il costo oggi in una città come Milano. Ma abbondantemente sotto i 10-13 euro al metro cubo dell’acqua che viene trasportata con le autocisterne fino sulle isole italiane del sud.

Qui come sempre casca l’asino: se per ottenere mille litri potabili servono da uno a otto chilowatt di energia a seconda della tecnologia utilizzata (l’osmosi inversa o la meno efficiente distillazione), ma anche delle condizioni climatiche ed energetiche del luogo di trattamento, se l’energia arriva dal nucleare o dall’eolico è un conto, meglio ancora se proviene dal nucleare, ma se si tratta di centrali termo-elettriche tanto varrebbe investire il denaro necessario per creare in fretta gli impianti di desalinizzazione (300-400 milioni a sito), per sistemare una rete idrica che perde il 40% dell’acqua trasportata, anche se ci vorrebbe più tempo.

C’è poi un’altra questione non di poco conto: il trattamento di microfiltraggio implica la produzione di scorie e queste non possono essere semplicemente ributtate in mare, quindi servirebbe altra energia per trattarle e smaltirle.

I dissalatori sono comunque inseriti tra le priorità per l’emergenza idrica nazionale, poiché è evidente che comunque sarebbe poco prudente non disporne soprattutto dove esistono periodi nei quali le reti di taluni comuni ricevono picchi di consumo, come per esempio le città del sud o isole nel periodo estivo. Una breve ricerca sul web mostra che la società Suez, che nel mondo ha progettato oltre undicimila impianti, oggi ne sta realizzando uno all’isola d’Elba che sarà inaugurato l’anno prossimo, con una capacità di 80 litri al secondo. E non c’è soltanto l’acqua di mare, poiché a ben guardare si possono anche trattare le acque reflue, allontanando quindi gli impianti dalle coste. Dunque realizzare alcuni impianti e tenerli in funzione al minimo della capacità per poterne disporre in caso di emergenza idrica dovrà diventare anche in Italia parte di una strategia alla quale purtroppo, a partire dal gas, non eravamo abituati. E le piccole dimensioni del nostro Paese consentirebbero di creare impianti relativamente ridotti, ovvero per una fabbisogno tipico di 60.000 metri cubi al giorno di una città medio grande, contro i 500.000 o 600.000 che aziende italiane come Fisia hanno creato in Medioriente.

La memoria digitale di internet ci ricorda che comuni italiani come Andora, nel ponente ligure, nel 2022 hanno avuto gravi problemi di approvvigionamento nonostante si trovino sulla costa. Attualmente in Italia sono attive una dozzina di centrali che forniscono meno di 300 milioni di metri cubi al giorno, nulla se paragonato al volume di acqua desalinizzata prodotta in nazioni come la Spagna, con oltre due miliardi di metri cubi d’acqua potabilizzata da 768 centrali.

La morale è facilmente intuibile: servono dissalatori per le zone critiche, siano tali per posizione geografica o per vocazione turistica, ma non ne servono di giganteschi, quanto di piccoli-medi impianti posizionati in modo strategico più vicino possibile al luogo del prelievo, sia esso fatto a fini sanitari o per l’irrigazione. La domanda da porsi però è un’altra: faremo anche per i dissalatori le stesse scene all’italiana che abbiamo fatto per i termovalorizzatori e i rigassificatori, fino a volerne decidere il colore? Sono aperte le scommesse.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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