Dimissioni del Papa. La scelta difficile
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Dimissioni del Papa. La scelta difficile

Uomini e pontefici molto diversi tra loro, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno interpretato in modo differente anche le sofferenze degli ultimi anni del loro papato - le dimissioni di Papa Benedetto XVI -

«Dalla Croce non si scende». Un giudizio tagliente, quasi uno schiaffo: l’unico arrivato a Papa Benedetto dopo l’annuncio della Grande rinuncia. Ed è venuto da un uomo simbolo, il cardinale Stanislao Dziwisz, successore a Cracovia di quel Karol Wojtyla di cui è stato per una vita il fedele segretario. «Dalla Croce non si scende»: frase dura, inutilmente attenuata e parzialmente corretta nelle ore successive.

Wojtyla è stato il primo Papa con le abitudini di un uomo normale: alle passeggiate edificanti dei pontefici nei giardini vaticani preferiva le escursioni in montagna, le lunghe sciate, le poderose bracciate in piscina, le fughe clandestine dal Vaticano per respirare l’aria che assomigliava a quella dei suoi Monti Tatra, in Polonia. La prima volta che ci vedemmo a cena, nell’autunno del 1977, mi colpirono due cose: le scarpe grosse e la faccia arrossata di chi vive all’aria aperta, tipiche di chi ama la montagna. Veniva spesso di nascosto dalle mie parti, sul Gran Sasso aquilano, e andava a fare visita a una cappellina sperduta, naturalmente chiusa. Sicché il parroco che ne aveva le chiavi, disperato, a un certo punto gliele lasciò celate sotto un ideale zerbino. Wojtyla era tuttavia anche un intellettuale di altissima caratura, un teologo autorevole e per questo scelse come custode dell’ortodossia un altro raffinato teologo, il professor Joseph Ratzinger, strappato fin dall’82 alla cura di studenti e di anime in Baviera per essere trasferito al Sant’Uffizio di Roma.

Wojtyla era uomo da chitarra e cantate in compagnia, Ratzinger amava le sonate per pianoforte che esegue tuttora con riconosciuta abilità. Entrambi, diversissimi, hanno governato la Chiesa fin ben oltre gli ottant’anni, ma nel momento cruciale hanno scelto strade drammaticamente diverse. Giovanni Paolo II ha pensato spesso alle dimissioni, ma non le ha mai date. Diceva in sostanza: Dio mi ha nominato, solo Dio mi può licenziare. Il Venerdì santo del 2005, per raccontare la Passione del Papa pochi giorni prima che morisse, chiesi a Ratzinger di commentare questa frase. E lui la condivise senza riserve. «Anche se sono i cardinali a eleggere il Papa, è il Signore a dargli questa responsabilità. Non basta una maggioranza numerica in conclave, c’è un intervento dall’alto. Solo grazie a questo si può rispondere alla grande sfida della responsabilità della Chiesa universale, ci si può ergere a voce morale dell’umanità. Perciò papa Wojtyla è ben consapevole di avere una responsabilità unica che gli è stata data dal Signore e che solo il Signore può ritirare».

Anche Ratzinger, come oggi don Stanislao, sosteneva dunque che «dalla Croce non si scende». Perché allora papa Benedetto è sceso? Perché ha cambiato parere non oggi, ma almeno da due anni, quando dettò al giornalista tedesco Peter Seewald una risposta opposta a quella che aveva dato a me cinque anni prima? «Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». Nel comunicare ai cardinali la sua decisione, Papa Benedetto ha detto che «in un mondo agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede… è necessario anche il vigore sia nel corpo che nell’anima», vigore diminuito fino a determinare una incapacità di governo. «Il Papa non è malato» dice padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa sede. L’ha detto immediatamente, l’ha ripetuto in televisione, teneva moltissimo a che fosse chiaro che Benedetto XVI sta bene in salute. Un modo per sottolineare implicitamente che la stanchezza fisica non è stato l’elemento determinante in un uomo che pure sta per compiere 86 anni. C’è stata perciò necessariamente anche una caduta del «vigore dell’anima».

In questi giorni il dibattito interpretativo è furioso: gli scandali? Gli aspetti del Vatileaks ancora ignoti, se ce ne sono? Un dissenso sull’andazzo della curia? L’enorme fatica di tenere le briglie di un mondo sempre più relativista, disattento, svogliato? Non sappiamo. Certo, il suo gesto è stato apprezzato dalla larga maggioranza dei commentatori come decisione nobile e coraggiosa di un uomo che ammette i suoi limiti. Meglio dedicare gli ultimi anni della vita agli amati studi, al pianoforte, alle passeggiate nei giardini vaticani in cui il Papa emerito potrà fare quattro chiacchiere con il suo successore. Meglio questo che lasciarsi sopraffare da avvenimenti ingovernabili. Eppure quando Gesù ha chiesto al Padre di farlo scendere dalla Croce, non ha avuto risposta. Dunque?

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