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Riforma della diffamazione: un passo verso la civilità

Dopo l'approvazione al Senato della legge che abolisce il carcere per i giornalisti, il testo torna alla Camera. Dove si spera che Forza Italia...

Due parole vanno dette. La riforma della legge sulla diffamazione approvata oggi al Senato che ha come misura principale l’eliminazione del carcere per i giornalisti fa guadagnare all’Italia alcune posizioni nella classifica della civiltà.

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Per anni - e in modo sempre più pressante negli ultimi mesi – proprio per questa norma illiberale e di ispirazione fascista il nostro Paese è stato destinatario di violente e sdegnate censure (e anche di diverse condanne) da parte di tutti gli organismi internazionali: dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo alle Nazioni Unite. Questa legge andava quindi cambiata e pure di corsa. Per farlo c’è voluto, ahimé, un caso clamoroso: la condanna al carcere e senza condizionale di chi scrive per omesso controllo (reato figlio della diffamazione) e la condanna di due cronisti di Panorama.

Due giudici di Milano, tra maggio e luglio dello scorso anno, avevano infatti ritenuto di spalancare senza se e senza ma le porte di una cella al direttore di un giornale allineandolo a un pericolosissimo delinquente della peggior risma non per aver commesso il reato di diffamazione (vi rendete conto?) ma per responsabilità oggettiva (è come se un procuratore della Repubblica dovesse rispondere penalmente delle fughe di notizie dall’ufficio di un sostituto procuratore…). Solo come dato di cronaca specifico che le due condanne a otto mesi di reclusione, ciascuna senza condizionale, erano per cause intentate da due magistrati.

A seguito di questa barbarie e di una campagna martellante che ha visto Panorama sostanzialmente solo con alcune lodevoli eccezioni tra la stampa italiana, il Parlamento si è messo in moto. Grazie a uno spirito bipartisan, con Forza Italia e Pd in prima fila, la legge è andata molto lentamente avanti mentre si accumulavano altri richiami e censure da tutto il mondo. Oggi, 18 mesi dopo la prima condanna, è arrivato il via libera del Senato. Che non avrà effetto immediato perché, a causa di alcuni cambiamenti, il testo necessita di un ulteriore passaggio alla Camera.

In breve: se la condanna fosse confermata in Appello e Cassazione prima del definitivo via libera della Camera (e finora, ripeto, l’iter parlamentare ha inghiottito ben un anno e mezzo) la sentenza avrebbe immediata applicazione. C’è insomma paradossalmente da sperare nella ben nota lentezza della giustizia italiana per non vedere esposto il nostro Paese di fronte a una enorme vergogna che la metterebbe sullo stesso livello dei più odiati regimi come la Corea del Nord o l'Iran.

La legge approvata non ha avuto, come speravo, l’unanimità. Non ho ben compreso, a dirla tutta, l’astensione dei senatori di Forza Italia, che a palazzo Madama equivale a un voto contrario. Anche perché si deve proprio allo spirito autenticamente liberale di alcuni suoi deputati (Brunetta, Gelmini, Costa nel frattempo transitato nell’Ncd) l’iniziativa di mettere subito mano alla norma dopo le condanne dello scorso anno. Capisco che i senatori di Forza Italia possano non condividere alcuni punti, ma quel che è centrale era e rimane l’abolizione del carcere per i giornalisti. Ed era ed è nel dna del movimento la sacralità e la difesa della libertà di pensiero soprattutto se questa si vuole umiliare con il carcere in particolare verso giornalisti “non allineati”, deliberatamente controcorrente o fuori dal coro soprattutto su alcuni fronti.

L’astensione, dunque, mortifica la storia di Forza Italia. E a nulla valgono i distinguo: ciò che conta è il voto. Ho motivo di sperare che alla Camera si porrà rimedio a questo scivolone. Purché si faccia presto…

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Giorgio Mulè