Putin
(Ansa)
Dal Mondo

Le follie dell’imperatore Putin

Il decreto sul gas in rubli firmato oggi, e successiva retromarcia, sono l'ennesimo gesto inspiegabile di un uomo molto potente ma molto complicato

E pensare che Mario Draghi questa mattina in conferenza stampa li aveva definiti «piccoli passi in avanti». Al termine di una lunga telefonata avuta ieri con Vladimir Putin, il presidente del Consiglio italiano aveva ottenuto la rassicurazione che «le aziende europee continueranno a pagare il gas in euro o dollari» e che «è stato aperto il corridoio umanitario di Mariupol».

Ma durante la notte dev’essere successo qualcosa in quel di Mosca, che ha fatto cambiare repentinamente idea al leader russo: «Vladimir Putin ha firmato il decreto presidenziale sulle regole del commercio di gas naturale russo con i cosiddetti Paesi ostili per il pagamento in rubli» hanno rilanciato le agenzie, aggiungendo che «entrerà in vigore da domani, primo aprile». Insomma, quei Paesi ostili – tra cui il nostro – che non dovessero pagare in moneta russa, si vedranno sin da subito sospendere le forniture di gas.

Anche in una conversazione tenuta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Putin aveva assicurato che i pagamenti per il momento sarebbero potuti continuare ancora in euro. Poi però per tutti è arrivata la doccia fredda.

Francia e Germania l’hanno presa apparentemente con filosofia, e difatti «si preparano» nel caso in cui la Russia bloccasse le forniture di gas, come ha affermato il ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire. «Potrebbe esserci una situazione in cui domani, in circostanze particolari, non ci sarà più il gas russo» ha precisato Le Maire durante la conferenza stampa con il suo omologo tedesco, Robert Habeck. Segno che Parigi e Berlino sono più abituate ai voltafaccia di Vladimir Putin di quanto non lo sia Roma.

Dunque, delle due l’una: o Putin mente in maniera consapevole o è patologicamente convinto di poter fare ciò che vuole quando meglio crede. Così vale anche per le dichiarazioni sull’assedio di Mariupol, la città-martire del sudest ucraina: qui sono arrivati i convogli di autobus per evacuare i civili dalla città, è vero.

Ma non solo non c’è stato alcun cessate il fuoco per consentire un passaggio sicuro fuori dall’inferno dell’assedio russo della città, come promesso dopo il primo round di colloqui a Istanbul (questo, per la verità, lo aveva già anticipato Putin a Draghi). Al contrario, i bombardamenti sulla città si sono intensificati e ci si è limitati a un vago impegno a non colpire «possibilmente» il segmento che va da Berdyansk a Zaporizhzhia. Mentre i missili di Mosca continuano a martellare tutta la regione.

Se dunque sono questi i presupposti per il secondo round di negoziati, che si terranno domani in Turchia, sa tanto di un macabro «pesce d’aprile». Secondo la stampa americana, il motivo dei ripetuti voltafaccia da parte di Putin, è che lui non conosce l’effettiva situazione sul campo di battaglia, perché i suoi generali temono di dirgli la verità.

Ecco cosa dice in proposito la portavoce della Casa Bianca, Kate Bedingfield: «Abbiamo informazioni che Putin si è sentito ingannato dall'esercito russo, il che ha provocato tensioni persistenti tra Putin e la sua leadership militare. Riteniamo che Putin sia stato disinformato dai suoi consiglieri su quanto male si stia comportando l'esercito russo e su come l'economia russa sia paralizzata dalle sanzioni, perché i suoi consiglieri senior hanno troppa paura di dirgli la verità».

Sarà. Ma a dire il vero è piuttosto lo stato mentale di Putin a preoccupare. In tempi non sospetti fu Angela Merkel a lanciare l’allarme: era l’ottobre del 2014 e la cancelliera, spinta dal presidente Usa Barack Obama, provò a far ragionare il presidente russo circa l’inopportuno sostegno di Mosca ai ribelli del Donbass.

L’occasione per farlo ragionare fu il vertice euroasiatico di Milano, dove i due – che parlano la stessa lingua – ebbero un bilaterale molto franco e privato. Putin arrivò al solito in grave ritardo e, senza quasi lasciar parlare la cancelliera, pretese sin dalle prime battute che Merkel riconoscesse che lui aveva ragione e l’Occidente torto. Sostenne che la rivolta di Euromaidan che aveva cacciato il presidente ucraino Yanukovich era stato un «golpe nazista» sponsorizzato da europei e americani; che la Crimea non era mai stata invasa dai militari russi; e che il Boeing abbattuto sui cieli ucraini non era in alcun modo responsabilità russa. Insomma, la stessa solfa che ci rifila oggi.

Angela Merkel allora riferì a Obama, sconsolata: «Trattare con Putin è impossibile, perché ormai vive in un mondo tutto suo». Dopo otto anni di quasi totale isolamento dall’Occidente, come si può pretendere che l’opinione del presidente russo sia cambiata? Lo stesso presidente francese Emmanuel Macron - che ha sostituito Merkel nell’operoso tentativo di avvicinare Mosca all’Europa - non crede più a quel che fa: «Non ha alcuna intenzione di fermare la guerra» va ripetendo da settimane ai suoi.

Valgano qui le parole di Anna Zafesova, che nel profetico saggio Navalny contro Putin (Paesi Edizioni) scriveva: «Il Putin dei tempi migliori era preciso, pedante, spesso aggressivo, dotato di un umorismo gelido e imbattibile nel snocciolare numeri e dati. Ma oggi s’inceppa, si confonde, si contraddice, qualche volta addirittura non riesce a finire la frase. Sostiene che i russi sono ben 160 milioni (erano 144 fino al giorno prima) oppure spiega la protesta dei gilet gialli raccontando che gli abitanti della banlieue non possano più permettersi il pieno per raggiungere Parigi. La propaganda sovietica raccontava, a un popolo intrappolato nei confini del proprio Paese, che l’Occidente fosse ormai sull’orlo del suicidio. Oggi l’impressione è che la propaganda russa consoli con queste invenzioni il proprio presidente, bandito da quasi tutte le capitali occidentali».

Insomma, le «follie dell’imperatore» non sono nuove a chi conosce meglio l’inquilino del Cremlino, ma soprattutto non sono ancora finite. Putin ha calato la maschera e si è rivelato per quel che è, oltretutto colpito nell’orgoglio dai suoi uomini, che gli avevano promesso una vittoria e invece gli stanno offrendo la più cocente delle sconfitte. Il presidente russo è in definitiva un «animale ferito», e si sa cosa accade in natura in questi casi. Meglio che tale concetto sia ben compreso e digerito anche dalle nostre parti, prima che finiamo tutti per credere all’ennesimo inganno che ci propinerà questo leader un tempo motore dell’Europa, ma oggi completamente fuori fase.

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Luciano Tirinnanzi