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Il neo-eletto presidente dell'Interpol Ahmed Nasser al-Raisi a Istanbul il 25 novembre 2021 (Getty Images).
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La nomina del presidente porta alla luce le pecche dell'Interpol

La controversa elezione dell'emiratino al-Raisi non è un caso isolato. Anche altri episodi mettono in discussione la credibilità della più antica organizzazione internazionale al mondo.

Libération: «La presidenza dell'Interpol, nuovo trofeo per i dittatori». The Guardian: «L'Interpol è diventata la longa manu dei regimi oppressivi?». The Economist: «Perché l'Interpol ha bisogno di essere sorvegliata». Dopo che, lo scorso 25 novembre, l’agenzia di polizia globale Interpol ha eletto come suo nuovo presidente il generale degli Emirati Arabi Uniti, Ahmed Nasser al-Raisi, è scoppiato il finimondo.

In effetti, sono tanti i motivi per mettere in dubbio la nomina del generale emiratino a capo della più antica organizzazione internazionale governativa esistente (è stata istituita nel 1923) nonché seconda organizzazione mondiale in termini di grandezza, dopo l'Onu. Accusato di complicità in torture, l’ispettore generale del Ministero degli Interni emiratino ha denunce penali in cinque Paesi, fra cui la Francia, dove ha sede il quartier generale dell’Interpol, e la Turchia, dove si sono tenute le elezioni che l'hanno portato al vertice dell'Interpol.

Elezioni che, peraltro, sono state fonte di amarezza per l'Italia: il questore Nicola Falvella, il nostro candidato a membro del Comitato esecutivo (una sorta di Cda dell'Interpol), è stato l'unico candidato a non essere eletto.

«Già a maggio, Human Rights Watch e il Gulf Center for Human Rights avevano accusato il Dipartimento di Sicurezza che era gestito da al-Raisi negli Eau di non aver indagato sulle accuse credibili di tortura da parte delle forze di sicurezza emiratine» ha scritto Sicurezza Internazionale, il quotidiano online della Luiss.

Apriti cielo! Anche perché, spiega una fonte di Panorama che ha lavorato a Lione in Interpol, «il ruolo di presidente del Comitato esecutivo non è assolutamente di mera rappresentanza. Anzi, è importantissimo perché è nel Comitato esecutivo che si discutono e si approvano i progetti da finanziare per contrastare le varie forme di crimine». Per la fonte di Panorama, la nomina di al-Raisi è motivo di grande perplessità. «È come se nell'Unione europea» sorride amaro, «eleggessero un presidente ricercato da vari Paesi dell'Unione stessa».

Ma, come sottolinea The Economist, «l'elezione di un presidente preoccupante è solo l'ultima cosa ad andare male». In altre parole, la nomina di al-Raisi non è un caso isolato. «L'Interpol» aggiunge caustico il settimanale londinese, «è stata creata per aiutare le forze di polizia a collaborare per catturare i delinquenti. Ha invece la spiacevole abitudine di assumerli».

The Economist cita due casi eccellenti: il sudafricano Jackie Selebi, presidente dal 2004 al 2008, poi condannato a 15 anni di prigione per corruzione in patria, e il cinese Meng Hongwei. Capo dell'organizzazione dal 2016 al 2018, fu poi richiamato in Cina e, dopo essere misteriosamente scomparso, ricevette una condanna a 13 anni e mezzo di carcere per tangenti. Annotazione doverosa: sua moglie sostiene che il marito è stato incastrato.

«Quello di al-Raisi non è un caso isolato» spiega a PanoramaAntonio Stango, presidente della Federazione Italiana Diritti Umani. «Da molti anni, così come altre organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani in diversi Paesi del mondo, noi abbiamo notato che i regimi autoritari tendono ad abusare dei cosiddetti codici rossi dell'Interpol per perseguire esuli per motivi politici. Abbiamo anche promosso, proprio in occasione dell'assemblea generale dell'Interpol che si è tenuta a Istanbul dal 23 al 25 novembre, una sorta di risoluzione della società civile. Firmata da 64 organizzazioni ed esperti di diritti umani di vari Paesi, richiede proprio una riforma dell'Interpol perché sia più fedele nei meccanismi concreti a quelli che dovrebbero essere i suoi obiettivi».

La risoluzione (https://fidu.it/language/it/una-risoluzione-della-...) chiede «la piena attuazione delle raccomandazioni avanzate dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e dal Parlamento europeo». Nello specifico, l'appello sollecita a «rafforzare la trasparenza sulle procedure», fra cui il «ricorso davanti alla Commissione per il Controllo degli Archivi», ma chiede anche di «istituire un organo di ricorso indipendente» e di «istituire un fondo di risarcimento per le vittime di avvisi rossi ingiustificati, nonché per le vittime di abusi della banca dati Sltd», oltre a «rafforzare i controlli sulle richieste presentate da Stati che ricorrono a pratiche abusive» e «assicurare un controllo più efficace sui dati trattati».

Prosegue Antonio Stango: «C'è assolutamente bisogno che i 195 Stati membri dell'Interpol, alcuni dei quali sono retti da regimi autoritari, ma che per fortuna in buona parte autoritari non sono, cambino qualcosa nei meccanismi dell'Interpol. Perché sempre più spesso, negli ultimi anni, gli Stati autoritari tendono a utilizzare a loro vantaggio gli avvisi rossi».

Già, gli avvisi rossi... L'Interpol emette vari tipi di avvisi: giallo per le persone scomparse, nero per l'identificazione di cadaveri, blu per raccogliere informazioni per un'indagine, verde per lanciare l'allarme su individui considerati una «minaccia alla sicurezza pubblica». Ma sono i codici rossi a essere i più importanti, perché portano all'arresto. Emessi solo su richiesta di uno Stato membro, informano tutte le forze di polizia che la tal persona è ricercata dalle autorità giudiziarie del suo Paese o di un altro Paese, il che porta spesso al suo arresto nel momento in cui varca una frontiera.

«Attualmente risultano validi circa 66.000 avvisi rossi: 11.094 emessi solo nel 2020» spiega Stango. Come ribadisce The Economist, «la maggior parte degli avvisi rossi sono diretti a veri criminali, ma i regimi autocratici hanno scoperto che possono essere anche usati per perseguire i dissidenti in esilio».

Conferma Stango: «Verosimilmente, varie centinaia di avvisi rossi sono motivati politicamente. Una buona parte delle richieste viene dalla Cina, dalla Russia, dal Kazakistan e dalla Turchia, che le usano per dare la caccia ai loro oppositori». Secondo un rapporto del Senato Usa, nel solo 2019 la Russia ha emesso il 38% di tutti gli avvisi rossi ricevuti dall'Interpol.

The Economist definisce il Cremlino un «abusatore seriale» di avvisi rossi e cita il caso dell'attivista ambientale Petr Silaev, che aveva trovato asilo politico in Finlandia. Arrestato in Spagna con l'accusa di «teppismo», ha faticato parecchio per evitare l'estradizione in Russia. E, comunque, si è fatto parecchi mesi di carcere ad alta sicurezza.

Un altro Paese che fa uso disinvolto degli avvisi rossi è la Turchia. Nel 2017 uno scrittore tedesco di origine turca, Doğan Akhanlı, venne arrestato sulla base di un avviso dell'Interpol turca mentre si trovava in vacanza in Spagna. E l'allora cancelliera tedesca Angela Merkel commentò: «Non dobbiamo abusare di organizzazioni internazionali come l'Interpol per questi scopi».

Negli ultimi 20 anni, il ricorso all'Interpol è esploso. Nel 2019 sono stati emessi 13.377 nuovi avvisi rossi, rispetto ai 1.401 del 2001. Ma il bilancio dell'organizzazione è rimasto ridotto all'osso: solo 136 milioni di euro nel 2020, il 26% dei quali è costituito da «contributi in natura», cioè da forniture di attrezzature o di locali.

Per questo le donazioni sono molto ben accette. E chi è il principale Paese donatore dell'Interpol? Gli Emirati arabi uniti, guada caso il Paese da cui proviene il controverso nuovo presidente, Ahmed Nasser al-Raisi. Nel 2017 gli Emirati Arabi Uniti hanno donato all'Interpol 54 milioni di dollari nel 2017. «Quasi equivalente ai contributi richiesti da tutti i 195 paesi membri dell'organizzazione, che ammontavano a 68 milioni di dollari nel 2020» osserva The Guardian.

Non solo. «Nel 2019 hanno dato, o si sono impegnati a dare, circa 10 milioni di euro, circa il 7% del bilancio annuale totale dell'organizzazione» prosegue il quotidiano britannico. «Sir David Calvert-Smith, l'ex direttore della pubblica accusa per l'Inghilterra e il Galles, ha pubblicato un rapporto in aprile, concludendo che gli Emirati Arabi Uniti stavano "cercando di influenzare impropriamente l'Interpol attraverso finanziamenti e altri meccanismi"». Missione compiuta: sette mesi dopo il loro Ahmed Nasser al-Raisi è diventato presidente dell'Interpol.

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Elisabetta Burba