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(Ansa)
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Il problema geopolitico delle gaffes di Biden

Il presidente americano ha definito Putin un "pazzo figlio di puttana". Parole che rischiano però di rivelarsi un involontario assist a Mosca. Ecco perché

Volano parole grosse. Joe Biden, durante un evento elettorale di raccolta fondi a San Francisco mercoledì, ha definito Vladimir Putin un “pazzo figlio di puttana”. Non è d’altronde la prima volta che l’attuale presidente americano si esprime in questo modo. A gennaio 2022 bollò il corrispondente di Fox News, Peter Doocy, come uno “stupido figlio di puttana”, salvo poi scusarsi. Era inoltre il 2018 quando Biden raccontò di aver usato nel 2015, da vicepresidente degli Stati Uniti, l’espressione “figlio di puttana” durante un concitato colloquio con l’allora capo di Stato ucraino, Petro Poroshenko. “Me ne andrò di qui tra sei ore. Se il procuratore non viene licenziato, non riceverai i soldi.' Ebbene, figlio di puttana, è stato licenziato”, disse Biden, riferendosi alle sue pressioni su Poroshenko, per far silurare l’allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin.

Ora, il nocciolo della questione è soltanto uno. Se un leader internazionale dice qualcosa, qualsiasi cosa, si presuppone che questo qualcosa abbia un senso politico e geopolitico. Anche l’affermazione più controversa dovrebbe inserirsi all’interno di una logica strategica. In altre parole, un leader internazionale –soprattutto se a capo di una superpotenza– non può permettersi dichiarazioni estemporanee. Quando, per esempio, si registrò la crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord nel 2017, volarono parole grosse tra Donald Trump e Kim Jong-un: tuttavia emerse poi che quell’escalation verbale era (per quanto paradossalmente) finalizzata a un tentativo di distensione. Indipendentemente da come la si potesse pensare su una distensione con Pyongyang, c’era comunque un senso politico, condivisibile o meno, dietro quello scambio di insulti.

Venendo quindi alle parole pronunciate mercoledì da Biden su Putin, la questione non è tanto di etichetta diplomatica né se il presidente russo si senta offeso o meno (nel caso, a maggior ragione dopo la morte di Alexei Navalny, ce ne faremmo una ragione). No, il punto è un altro. Quelle parole Biden le ha dette in un contesto strategico – cioè perseguendo un qualche obiettivo geopolitico concreto – o si è trattato dell’ennesima gaffe, dovuta alla sua scarsa lucidità? Attenzione: non si tratta di una questione di lana caprina. Nel primo caso, il presidente americano avrebbe tutto il diritto di perseguire le proprie strategie geopolitiche. Il timore, però, è che ci si trovi davanti al secondo scenario. Eh sì, perché che Biden abbia problemi di lucidità è stato ormai messo nero su bianco anche nel rapporto investigativo del procuratore speciale, Robert Hur. Inoltre, episodi simili si sono già verificati. Basta un esempio. A novembre scorso, dopo aver incontrato Xi Jinping in California, Biden lo definì un “dittatore”. Ora, qui non è in discussione che il leader cinese sia un dittatore: lo è eccome. Il punto è tuttavia politico: dire quelle parole nel mezzo di una distensione (come è quella che l’amministrazione Biden sta perseguendo con Pechino) rischia di rivelarsi un boomerang. Il pericolo è quello di essere percepito all’esterno come irresoluto e contraddittorio: un elemento che potrebbe spingere i tuoi nemici a farsi ancora più sfrontati.

Purtroppo a rafforzare l’ipotesi che le parole di Biden su Putin siano state estemporanee sta anche la storia recente. A marzo 2021, l’attuale presidente americano concordò nel definire il leader russo un “killer”. Ciononostante, a maggio di quell’anno gli fece un immenso regalo, revocando le sanzioni che l’amministrazione Trump aveva imposto al gasdotto Nord Stream 2: gasdotto a cui Biden diede infine l’ok due mesi più tardi, di fatto cedendo tanto a Putin quanto ad Angela Merkel. In altre parole, nel giro di pochi mesi, l'attuale inquilino della Casa Bianca passò dal definire lo zar un assassino al concedergli un controverso gasdotto che era fortemente avversato tanto dalla Polonia quanto dall'Ucraina.

E allora il problema non è che mercoledì Biden abbia usato quelle parole. Il problema vero è che probabilmente quelle parole sono state dette tanto per essere dette, senza una strategia geopolitica e, forse, in uno dei non rari momenti di scarsa lucidità dello stesso Biden. In campo geopolitico, non si fanno le cose tanto per farle. Tutto, anche le dichiarazioni più piccole e apparentemente insignificanti, devono avere una logica e, soprattutto, vanno considerate sulla base di come possono essere percepite dai propri avversari internazionali. Il rischio, sennò, è di apparire deboli, confusi e di azzoppare la propria capacità di deterrenza. Il rischio, in definitiva, è che le parole pronunciate da Biden mercoledì, anziché una stoccata, possano paradossalmente rivelarsi un involontario assist al Cremlino.

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Stefano Graziosi