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I sottomarini fanno litigare Biden e Macron

La Francia ha richiamato i propri ambasciatori negli Stati Uniti e in Australia, mentre Bruxelles è irritata con Washington.

La Francia ha richiamato ieri i propri ambasciatori negli Stati Uniti e in Australia: una tensione diplomatica palpabile, in particolare per quanto concerne i rapporti tra Parigi e Washington. Una tensione che affonda le proprie radici nell'Aukus: il nuovo patto di sicurezza tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito, annunciato mercoledì scorso dal presidente americano, Joe Biden. Si tratta di una partnership piuttosto vasta, che includerà vari tipi di tecnologia inerenti al settore della Difesa: una partnership concentrata sull'Indo-Pacifico, che ha il palese (per quanto non dichiarato) obiettivo di contenere l'influenza cinese nella regione. Eppure il patto ha creato una situazione di forte deterioramento delle relazioni transatlantiche: aggravando una situazione complessiva già di per sé turbolenta a causa della crisi afghana. Innanzitutto, Washington non ha preventivamente avvisato Bruxelles di questa partnership: un fattore che ha significativamente irritato i vertici dell'Unione europea. Non sarà del resto un caso che, sentendosi tagliato fuori, il responsabile della politica estera europea, Josep Borrell, sia tornato a invocare una maggiore autonomia in materia di Difesa.

Ma è proprio con Parigi che sono scoppiate le turbolenze più gravi. Va infatti sottolineato che, sulla base dell'Aukus, gli Stati Uniti si sono impegnati a condividere con l'Australia la tecnologia per i sottomarini a propulsione nucleare: una mossa significativa, dal momento che una tale condivisione era stata concessa dagli americani soltanto al Regno Unito nel lontanissimo 1958. Una mossa che, nel dettaglio, ha spinto Canberra ad annullare un contratto da 90 miliardi di dollari, firmato nel 2016 con la società (partecipata al 62% dallo Stato francese) Naval Group per l'acquisto di dodici sottomarini convenzionali. La reazione di Parigi, neanche a dirlo, è stata furibonda. "È stata una pugnalata alla schiena. Avevamo instaurato un rapporto di fiducia con l'Australia. Questa fiducia è stata tradita", ha tuonato giovedì il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che – riferendosi agli Stati Uniti – ha aggiunto: "Questa decisione brutale, unilaterale e imprevedibile mi ricorda molto quello che faceva il signor Trump". "Sono arrabbiato e amareggiato. Queste cose non si fanno tra alleati", ha concluso. In tutto questo, il ministro francese delle Forze Armate, Florence Parly, non ha escluso l'ipotesi di chiedere un risarcimento al governo di Canberra.

Insomma, sono ormai lontani i tempi in cui Biden veniva salutato come il presidente che avrebbe rilanciato le relazioni transatlantiche. Così come sembra passato un secolo dal G7 di Cornovaglia dello scorso giugno, quando i vari leader ostentavano unità e – soprattutto – Biden ed Emmanuel Macron si facevano fotografare insieme abbracciati e sorridenti. E' pur vero che, giovedì scorso, Washington abbia cercato di correre ai ripari, con il segretario di Stato americano, Tony Blinken, che ha dichiarato: "Accogliamo fortemente, fortemente i Paesi europei che svolgono un ruolo importante nell'Indo-Pacifico. Non vediamo l'ora di continuare una stretta cooperazione con la Nato, con l'Ue e altri in questo sforzo". Parole che tuttavia, almeno per ora, non sembrano affatto aver smorzato le tensioni.

Il problema è che questo continuo deterioramento delle relazioni transatlantiche rischia di rivelarsi non poco pernicioso, sia per Washington sia per Bruxelles. Dal lato americano, è chiaro che Biden – soprattutto dopo il ritiro afghano – voglia concentrarsi sull'Indo-Pacifico per arginare l'influenza di Pechino. Una strategia comprensibile e corretta (non è d'altronde un caso che il Dragone abbia ferocemente criticato l'annuncio dell'Aukus). Il problema tuttavia è che, con questi continui schiaffi agli europei, l'inquilino della Casa Bianca rischia di rafforzare indirettamente la penetrazione politico-economica cinese nel Vecchio Continente. Ridurre il confronto con Pechino pressoché al solo quadrante Indo-Pacifico può pertanto rivelarsi un grave errore da parte del presidente americano. Bruxelles, dal canto suo, dovrebbe evitare delle fughe in avanti in materia di Difesa: fughe in avanti che rischiano di indebolire ulteriormente i rapporti con Washington, favorendo così le mire cinesi. Anche perché non solo l'Unione europea non dispone di una politica estera autenticamente comune, ma svariati Stati membri (a partire dalla Germania) intrattengono stretti (e talvolta preoccupanti) legami commerciali con il Dragone. E' quindi alla luce di tutto questo che le relazioni transatlantiche andrebbero tempestivamente rilanciate. Ma né Biden né Bruxelles sembrano rendersene conto.

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Stefano Graziosi