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(Ansa)
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Cina-Usa: stretta di mano tra Blinken e Xi a Pechino ma i nodi restano

Il Segretario di Stato Usa aveva come obiettivo quello di sbloccare le relazioni bilaterali tra Washington e Pechino dopo il vertice di Bali. Il disgelo tra i Paesi sembra ancora lontano

La missione del Segretario di Stato Usa Anthony Blinken in Cina aveva un obiettivo principale: sbloccare le relazioni bilaterali tra Washington e Pechino, dopo che il vertice di Bali era stato guastato dallo «scandalo» dei palloni-spia cinesi finiti nello spazio aereo americano e abbattuti dall’aviazione, e dal braccio di ferro su Taiwan.

Missione riuscita in parte, con Blinken che scendendo la scaletta dell’aereo trova inizialmente un’accoglienza fredda e di basso profilo (niente red carpet e pochi funzionari a riceverlo per le strette di mano rituali), ma poi «ottiene» 35 minuti al cospetto del segretario-presidente Xi Jinping.

Anche se il vero cuore del viaggio del Segretario di Stato sono stati i colloqui con Wang Yi, direttore dell'Ufficio centrale per gli affari esteri della Cina, vero punto di riferimento della politica estera del Paese; e con il ministro degli Esteri Qin Gang (i due peraltro si conoscevano già, essendo stato Qin fino a pochi mesi fa abile e attivo ambasciatore a Washington).

Una maratona di cinque ore più altre tre di cena, dove le delegazioni hanno scambiato molte informazioni e snocciolato le questioni che entrambe hanno più a cuore: sanzioni, commercionell’Indo-Pacifico, Taiwan e Russia.

Era dal 2018 che un segretario di Stato statunitense non viaggiava in Cina, e dunque ecco un’altra novità. L’ultima volta, alla Casa Bianca c’era Donald Trump mentre Mike Pompeo guidava gli Esteri: quando quest’ultimo incontrò il suo omologo cinese del tempo - che poi era Wang Yi - quest’ultimo parlò di azioni Usa che «minano la fiducia reciproca e gettano un’ombra sul futuro delle relazioni sino-americane, il che è totalmente contro gli interessi di entrambi i popoli». La risposta di Pompeo fu«abbiamo un totale disaccordo» e la cosa finì lì, con le sanzioni commerciali e la difesa di Taiwan rimaste irrisolte.

Con l’arrivo di Joe Biden, invece, che ereditava un lungo quadriennio di inimicizia, la distensione è divenuta (almeno in apparenza) una delle priorità del governo democratico, nonostante il caso dei palloni-spia abbia poi ostacolato il ripristino deirapporti tra le due diplomazie «vicine e lontane».

La dottrina dei democratici Usa è infatti rimasta ancora quella del «pivot to Asia» inaugurata ai tempi di Barack Obama: smarcarsidal Medio Oriente per concentrarsi sempre più verso l’Asia e il Pacifico, ombelico del nuovo equilibrio geopolitico delle grandi potenze d’inizio millennio. Lo aveva ricordato lo stesso Blinkendurante la sua recente visita in Italia: «Pechino è di certo l’interlocutore più ostico ma anche più importante» per gli Stati Uniti.

Ed è dunque normale che si vogliano allentare le tensioni, specie in un momento in cui la guerra in Ucraina ha alzato il livello di guardia delle superpotenze, che osservano da molto vicino l’andamento del conflitto con il rischio di rimanerne coinvolte in prima persona; e considerato anche il fatto che l’economia cinese non riesce più a tirare come dovrebbe (e pertanto non conviene andare allo scontro con gli Usa, almeno in questo frangente storico).

Se i piani di guerra per «un’unica Cina» appaiono soprattutto un’impuntatura ideologica e di principio, la questione economica invece impensierisce davvero Pechino e lo stesso Xi Jinping, al punto che, ad esempio, il governo ha ordinato alla Bank of China di limitare la possibilità per i clienti delle banche russe di trasferire yuan nell’Ue, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Svizzera. Lo scopo? Impedire la fuoriuscita di yuan dagli istituti creditizi della Federazione, in caso la situazione sul campo miliare precipitasse. Soprattutto, la banca d’affari americana Goldman Sachs ha appena rivisto al ribasso l’outlook sulla crescita del Pil della Cina: al +5,4% rispetto al +6% stimato in precedenza. E peril 2024 si stima un +4,5%, rispetto al +4,6% precedentemente calcolato.

Sulla base anche di queste premesse, il viaggio di Anthony Blinken è stato giudicato utile da entrambe le nazioni e riparatore di un imbarazzo quinquennale, dato che non si vedevano più prospettive di dialogo tra i due Paesi. Ma oggi il registro apparecambiato: «Dobbiamo invertire la spirale negativa delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, promuovere il ritorno a un percorso sano e stabile e trovare insieme la strada giusta per la coesistenza tra Cina e Stati Uniti nella nuova era», ha dichiarato Wang Yi, aggiungendo che la visita di Blinken è giunta in «un momento critico delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, in cui è necessario scegliere tra dialogo o confronto, cooperazione o conflitto».

Ciò nonostante, di là dalla narrazione sulla disponibilità all’apertura di ulteriori canali tra Washington e Pechino, le distanze e i nodi restano: Blinken sembra esserne certo, dal momento che durante il briefing con la stampa ha dichiarato che Pechino non intende istituire un canale di comunicazione military-to-military per mantenere sempre aperte le linee diplomatiche. Il che ci riporta al punto di partenza: la sua missione in Cina haraggiunto l’unico obiettivo credibile per il 2023 (che poi era quello principale), ovvero sbloccare le relazioni bilaterali riparando la ferite del vertice di Bali.

E anche se, come ha detto Xi Jinping, «il mondo ha bisogno di un rapporto stabile tra Cina e Stati Uniti, che dovrebbero contribuire alla pace globale», Blinken ha nella valigetta diplomatica si porta via dalla Cina nulla più che un’incoraggiante stretta di mano.

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Luciano Tirinnanzi