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(Ansa)
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L'incognita delle prossime primarie aleggia su Biden

La Casa Bianca ha reso noto che Biden punta a ricandidarsi nel 2024. Un annuncio a cui tuttavia credono in pochi, mentre già iniziano a scaldarsi i motori in vista delle prossime primarie

E' arrivata la conferma. Joe Biden sta pianificando una sua ricandidatura nel 2024. "Questa è la sua intenzione", ha dichiarato lo scorso 22 novembre la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki. La notizia non è di poco conto, soprattutto alla luce dei dubbi che da tempo ruotano attorno al futuro politico dell'attuale presidente americano. Un presidente che da agosto scorso risulta in progressiva caduta libera nei sondaggi, che sconta alcuni problemi fisici e di lucidità, ma soprattutto che, nel 2024, avrà ottantuno anni di età. Ora, non è chiaro se, nonostante le parole della Psaki, Biden si ricandiderà effettivamente tra tre anni: quel mezzo annuncio potrebbe infatti risultare semplicemente di una mossa per cercare di rafforzare la leadership del presidente in una fase di profonda difficoltà.

Come che sia, nel Partito Democratico, sembra stiano iniziando delle manovre sotterranee in vista delle prossime primarie presidenziali. Secondo un recente sondaggio Hill-HarrisX, qualora Biden decidesse di fare un passo indietro, il candidato dem attualmente più popolare per la Casa Bianca risulterebbe la vicepresidente, Kamala Harris, con il 13% dei consensi. Seguirebbe a stretto giro l'ex first lady, Michelle Obama, al 10%. Altri nomi emersi dalla rilevazione sono poi il senatore del Vermont Bernie Sanders, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, il senatore del New Jersey Cory Booker, l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg, l'imprenditore Andrew Yang e l'attuale segretario ai Trasporti Pete Buttigieg: tutti costoro hanno conseguito un punteggio inferiore al 10%. Ulteriori figure citate dal Washington Post sono poi il senatore dell'Ohio Sherrod Brown e la deputata Alexandria Ocasio-Cortez (che il 20 gennaio 2025 avrà da pochi mesi compiuto 35 anni: l'età minima richiesta dalla Costituzione per ricoprire la carica di presidente degli Stati Uniti).

Ora, da quanto emerge è possibile fare alcune considerazioni. In primo luogo, è significativo che Kamala Harris sia in testa ai sondaggi per il 2024, viste le difficoltà politiche che si sta trovando ad affrontare. Non dimentichiamo che la vicepresidente abbia recentemente rimediato delle valutazioni piuttosto scarse dalle rilevazioni concernenti il suo operato e che, come riportato dalla Cnn, non sia particolarmente amata anche da alcuni settori interni all'attuale amministrazione americana. Tutto questo per sottolineare che il consenso attribuitole dal recente sondaggio non è detto sia necessariamente un dato troppo solido. Il secondo elemento che emerge è che, escluse poche eccezioni, i nomi che stanno emergendo per il 2024 sono gli stessi di coloro che presero parte alle ultime primarie del Partito Democratico: nomi che non hanno particolarmente brillato per le loro performance elettorali all'epoca. Ricordiamo il clamoroso (e assai costoso) flop di Bloomberg e il naufragio elettorale di figure come Booker e Yang. Anche la Warren finì ben presto col rivelarsi una delusione, mentre Sanders ha già detto l'anno scorso che sia "molto improbabile" una sua nuova discesa in campo. Il rischio, insomma, è che l'Asinello si ritrovi con una nuova competizione interna sovraffollata, rissosa e piena di volti legati a un passato elettorale sostanzialmente fallimentare.

Un terzo aspetto da considerare è che la rivalità per il 2024 potrebbe irrompere nella stessa amministrazione Biden, in particolare tra la Harris e Buttigieg. Nonostante il suddetto sondaggio dia avanti la vicepresidente, Politico ha di recente lasciato intendere che il segretario ai Trasporti potrebbe essere già in procinto di muoversi per una ricandidatura. Uno scenario, questo, tutt'altro che improbabile e che vedrebbe Buttigieg potenzialmente in una posizione migliore della Harris. Quest'ultima, come detto, è infatti in crisi di popolarità: un fattore che si spiega attraverso due ragioni. La prima è che in questi mesi ha assai spesso evitato di pronunciarsi sui dossier più spinosi, la seconda è che non si è dimostrata al momento politicamente incisiva nelle attività dell'amministrazione Biden (a partire dal dossier migratorio). L'essere vicepresidente la rende inoltre una figura più esposta, laddove – salvo complicazioni di qualche tipo – un segretario ai Trasporti ha forse più libertà di manovra. Inoltre la Harris è percepita tendenzialmente più a sinistra del centrista Buttigieg: un fattore che potrebbe aiutare quest'ultimo, soprattutto dopo che, con le ultime elezioni governatoriali in Virginia, l'Asinello ha iniziato a comprendere di dover maggiormente corteggiare l'elettorato moderato (il che potrebbe rivelarsi un grattacapo per una discesa in campo della Ocasio-Cortez). Il problema rischia tuttavia di ritrovarselo principalmente Biden, perché un'eventuale competizione sotterranea tra la Harris e Buttigieg potrebbe creare ulteriore fibrillazione in seno a una Casa Bianca già di per sé abbastanza in preda al caos (basti pensare al clima teso registratosi tra Pentagono e Dipartimento di Stato ai tempi della crisi afghana).

Insomma, i nodi alla fine stanno venendo al pettine. La figura di Biden fu fatta emergere alle scorse primarie proprio in virtù della sua debolezza e dello scarso carisma: fattori, questi, che avrebbero dovuto in un certo senso favorire una sorta di tregua armata tra le varie correnti dell'Asinello. Ora la tregua armata appare sempre più vicina a una rottura, mentre rivalità e personalismi sono pronti a riesplodere fragorosamente. Del resto, è forse proprio per cercare di arginare questo concreto pericolo che la Casa Bianca ha parlato la settimana scorsa della ricandidatura di Biden nel 2024: un annuncio a cui tuttavia credono in pochi. E che prevedibilmente non basterà a placare le fibrillazioni in essere tra i democratici. Tra l'altro, anche dovesse realmente decidere di scendere di nuovo in campo, non è affatto detto che l'attuale presidente non possa ritrovarsi la nomination contesa (come accadde del resto a Jimmy Carter nel 1980 da parte di Ted Kennedy). L'Asinello rischia insomma l'ennesima crisi di nervi.

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Stefano Graziosi