dad scuola draghi
Il premier Mario Draghi (Getty Images).
News

Viaggio nelle disuguaglianze prodotte dalla Dad

Mario Draghi ha detto no alle chiusure generalizzate delle scuole, citando le disparità economiche prodotte dalla didattica a distanza. Ma dietro le lezioni da casa c’è anche tanto altro disagio.

Non sono serviti i toni perentori e le prese di posizione del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, nè tantomeno la lettera scritta il giorno dell’Epifania da più di 2.000 presidi e rivolta al ministro Patrizio Bianchi. La scuola ha riaperto i battenti e, come ha ribadito il presidente del consiglio Mario Draghi proprio ieri, non è in previsione alcuna chiusura.

Avanti in presenza, quindi. E, nel mezzo della tempesta, questa è una buona notizia. Le lezioni in presenza non risolvono i problemi della scuola, e questo deve essere chiaro, perché la crisi del nostro sistema scolastico ha radici profonde e non nasce dalla pandemia, ma è certo che sarebbe stato inaccettabile che la scuola fosse sacrificata per chi è in zona bianca, o comunque in un periodo in cui sarebbe stata prima e unica a pagare per tutti. E con essa milioni di studenti avrebbero sperimentato nuovi disagi, perché questo crea la Dad.

Il presidente del consiglio ha accennato a «disuguaglianze destinate a restare tra chi sta in DaD e chi ci sta meno» e, probabilmente avendo tra le mani i dati degli studi Invalsi di questa estate, l’incremento di disuguaglianza tra i saperi misurati tra Nord e Sud del Paese. I risultati delle Prove Invalsi 2021 hanno rivelato che alle medie il 39% degli studenti non ha raggiunto risultati adeguati in italiano, contro il 34% del 2019. Per quanto riguarda la matematica, la percentuale sale al 45%, contro il 39% di due anni prima. Alle superiori il dato sale al 44% per italiano e al 51% per matematica. In entrambe le discipline, a dare risultati peggiori sono gli studenti socialmente svantaggiati.

Ancora, Draghi ha parlato di disuguaglianze nel futuro della vita lavorativa tra chi ha un corso di studi regolare e chi no, soffermandosi sul lato economico della questione e citando analisi anche sul reddito pro capite di chi ha studiato meno, come sostiene anche un recente studio della Bocconi. E anche gli ultimi dati Istat sulle retribuzioni orarie confermano che i laureati guadagnano di più rispetto ai non laureati. Come dire, chi starà più in Dad farà più fatica a posizionarsi bene nelle prove di ammissione universitarie, o nel mondo del lavoro. Verosimile, ma c’è ben altro.

La Dad innanzitutto priva i ragazzi della dimensione sociale della scuola. Questa è la prima delle disuguaglianze e insieme è la più avvertita. Ci sono ragazzi che anche con la Dad possono continuare a svolgere una vita sociale, alcuni che godono di condizioni famigliari serene, altri invece no, non fanno niente oltre alla scuola, litigano o sentono litigare tra le mura domestiche, si rinchiudono in casa per difficoltà caratteriali o per ragioni magari ignote. E, trincerati nel silenzio, senza scuola stanno male.

La Dad priva tutti i ragazzi dello sguardo del docente che educa e insegna. Quando i ragazzi lasciano i loro banchi e diventano francobolli su uno schermo, la disuguaglianza si acuisce, perché lo studente attento, più o meno attento rimane, ma quello che ha bisogno dello sguardo di richiamo, della domandina dal posto, della chiamata alla lavagna, di un incoraggiamento, ecco questo studente si smarrisce, procede a tentoni nel silenzio, nell’abbandono. Anche con la buona volontà e la capacità del docente di fare tutto quanto sia possibile mettere in campo, ma con la scuola attaccata alle macchine c’è poco margine per l’impronta personale e per il dialogo.

La Dad priva i ragazzi delle stesse possibilità che sono garantite in aula, perché se in classe tutti hanno banco e sedia, anche se da regione a regione e da istituto a istituto talvolta ci sono ancora enormi differenze, da casa la situazione è bene diversa: non tutti hanno la stessa connessione, gli stessi strumenti, le stesse condizioni ambientali ma anche psicologiche per svolgere le lezioni senza altri pensieri, come deve essere. Inoltre, ci sono studenti – perché occorre pensare anche ai più piccoli - che possono contare su genitori in grado di assisterli nella quotidianità per la connessione e lo svolgimento delle lezioni, o per il controllo degli apprendimenti, altri invece sono lasciati alla loro totale autonomia, tra difficoltà diversissime e innumerevoli. E la disuguaglianza si acuisce.

Poi certo, c’è anche la questione economica e il dato sul «risvolto sulla vita futura dei giovani» proposto dal presidente Draghi, e se questo ha allarmato il premier e lo ha convinto a non passare alla didattica a distanza tout court, sia benedetto questo studio. Ma gli studenti, prima che classe dirigente del domani, sono bambini e ragazzi di oggi che hanno il diritto di andare nella loro aula ogni mattina, se le condizioni lo consentono. E ora, se si può andare a cena fuori, al bar, a tennis e al cinema, sarebbe davvero surreale non potere andare a scuola.


I più letti

avatar-icon

Marcello Bramati